Giulio Regeni fu rapito dai servizi segreti egiziani perché sospettato di essere una spia britannica. La svolta nel caso della scomparsa del ricercatore trovato morto il 3 febbraio 2016 tra il Cairo e Alessandria d’Egitto è arrivata dalla dichiarazione di un nuovo testimone che sostiene di aver ascoltato la confessione fornita a un gruppo di uomini da un militare egiziano nell’estate del 2017. La testimonianza è stata raccontata per la prima volta domenica 5 maggio da Repubblica e dal Corriere Della Sera ed è stata giudicata attendibile dalla Procura di Roma, che ne ha fatto il cuore della rogatoria inviata ai magistrati egiziani venerdì 3 maggio, insieme ad altri e nuovi elementi di indagine. Secondo il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi c’è il «forte auspicio che le autorità egiziane contribuiscano al percorso di giustizia». Se così non fosse, stando alle regole di competenza territoriale del diritto penale, però, si rischia un nulla di fatto.

La madre di Regeni in una conferenza stampa al Senato, 29 marzo 2016. Foto di ANSA

La testimonianza – «Ci convincemmo che “il ragazzo italiano” era una spia del governo inglese. Scoprimmo che il 25 gennaio doveva incontrare una persona che ritenevamo sospetta. Per questo entrammo in azione quel giorno». Sarebbero queste le parole con cui un ufficiale dei servizi egiziani, tra i cinque già indagati in Italia, confessò, durante un pranzo nell’estate 2017, ai suoi interlocutori di aver rapito Regeni, caricandolo in macchina, e di averlo colpito più volte al volto. Ai commensali avrebbe anche raccontato dei pedinamenti e delle intercettazioni telefoniche di cui Regeni era stato oggetto fino al 24 gennaio del 2016, vigilia della sua scomparsa. L’uomo dell’ intelligence non si era però reso conto, dicono i due giornali italiani, che al tavolo accanto era seduto un italiano con ottima conoscenza della lingua araba che ha seguito la conversazione. Questa testimonianza, se accertata, diventa ora la possibile chiave di volta per superare le difficoltà di indagini condotte per anni unicamente su tabulati telefonici. Le dichiarazioni del testimone sono state acquisite nel mese di aprile dal procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dal sostituto Sergio Colaiocco. 

La rogatoria –  Nella serata di venerdì 3 maggio gli uffici giudiziari di piazzale Clodio hanno inviato al Cairo una nuova rogatoria, il cui fulcro sono le dichiarazioni del super testimone. Il documento è composto da 12 punti in cui sono raccolti i risultati degli ultimi sette mesi di indagini svolte dai carabinieri del Ros e dagli uomini dello Sco, insieme ai frutti delle indagini difensive svolte da Alessandra Ballerini, avvocato della famiglia Regeni. Tutto ruoterebbe attorno al coinvolgimento di cinque militari egiziani iscritti lo scorso dicembre nel registro degli indagati. Adesso per proseguire nelle indagini sarà più che mai necessaria la collaborazione del governo e dei magistrati del Cairo. Purtroppo finora le autorità egiziane non hanno mai dimostrato l’intenzione di cercare seriamente la verità, trincerandosi dietro il silenzio e i depistaggi. Lo stesso Pignatone ha dichiarato che «la Procura continua a cercare la verità e a sollecitare le indagini che, però, solo gli inquirenti egiziani possono svolgere». Lo scorso 30 aprile intanto, per facilitare la prosecuzione delle indagini in Italia, la Camera ha approvato l’istituzione di una Commissione d’inchiesta ad hoc sulla morte di Regeni.

I cinque indagati – Sono cinque gli ufficiali appartenenti in parte alla National Security Agency egiziana e in parte alla polizia investigativa del Cairo, a cui i pm romani contestano, per ora, il reato di sequestro di persona. Sarebbero coinvolti il generale Sabir Tareq, il colonnello Uhsam Helmy, il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, l’assistente Mahmoud Najem e il colonnello Athar Kamal, ai tempi capo della polizia investigativa del Cairo e coinvolto anche nel depistaggio con cui si cercò di affossare le indagini attribuendo ogni responsabilità a un gruppo di criminali di strada, tutti morti in un presunto conflitto a fuoco successivo al rapimento e alla morte di Regeni. La tesi sostenuta dagli inquirenti italiani è che questi si sarebbero attivati per mettere sotto controllo, rapire e infine uccidere Regeni dopo la denuncia di Mohamed Abdallah, capo del sindacato ambulanti su cui Regeni stava facendo una ricerca.