Valentina Tarallo, torinese uccisa ad aprile 2016

È stato arrestato in Senegal l’uomo accusato dell’omicidio di Valentina Tarallo, la ricercatrice originaria di Orta Nova (Foggia) uccisa a colpi di spranga l’11 aprile 2016 a Ginevra, in Svizzera. L’uomo, con doppia cittadinanza (senegalese di nascita e italiana per acquisizione), è stato rintracciato dopo sette anni di indagini congiunte tra le forze di polizia svizzere e senegalesi. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera, il senegalese avrebbe utilizzato diverse identità per sfuggire alle autorità a seguito dell’omicidio della donna. Dopo l’esclusione della pista dello scippo, inizialmente palesata dalle autorità elvetiche, era rimasto l’unico sospettato per il delitto dato che erano state trovate le sue impronte sulla spranga utilizzata per compiere l’omicidio. I due si erano conosciuti a Ginevra, dove Tarallo lavorava come ricercatrice nell’ospedale universitario della città.

L’omicidio – Un’agguato nella notte, in mezzo a una strada, a pochi passi dall’ospedale in cui lavorava. Sette anni di indagini e di ricerca dell’uomo senegalese arrestato nei pressi di Dakar sembrano confermare che Valentina Tarallo conoscesse il suo aggressore. Poco importa che la giovane donna, 28 anni all’epoca dell’omicidio, avesse una relazione o meno con il 43 indagato per il suo assassino. I due si conoscevano e tanto è bastato perché lui la aspettasse in Avenue de la Croisette, sulla strada di casa, per colpirla mortalmente.

I precedenti – Alcune telecamere di sicurezza nella via avevano ripreso la fuga in bus dell’uomo e hanno permesso agli inquirenti di identificarlo. Durante i primi accertamenti sull’uomo già nel 2016 era emerso che avesse vissuto anche in Italia, dove aveva sposato una donna lombarda che lo aveva denunciato per maltrattamento e violenza domestica. Anche per questo motivo l’uomo era stato espulso dall’Italia nel 2’014, per poi trasferirsi in Svizzera dove avrebbe incontrato Tarallo. Gli amici della vittima durante la fase di indagine avevano parlato di un amico della ricercatrice che si era mostrato particolarmente “pressante” a seguito di un rifiuto romantico da parte della donna. Una possibilità ancora da confermare in attesa dell’interrogatorio dell’accusato.