La burocrazia la dà per morta e lei da tre anni lotta per dimostrare di essere ancora viva e vegeta. La protagonista di questa storia, riportata da La Nuova Ferrara, è la 43enne di Comacchio Gaetana Simoni, vittima di un caso di omonimia. Era l’autunno 2012 quando le è stato annunciato che per l’anagrafe era deceduta. «Lei è stata cancellata. Non posso visitarla né darle le medicine», le ha detto il suo medico curante, che alla vista della donna è rimasto a dir poco stupito. «Mi avevano comunicato la sua morte». Simoni, sconcertata, è subito andata in municipio a chiedere spiegazioni. Dopo lunghe indagini si è riusciti a individuare la radice dell’errore: l’identità della 43enne è stata accidentalmente scambiata con quella di un’altra Gaetana Simoni, nata a Comacchio nel 1925 e morta il 13 agosto 2012.
Al momento la 43enne è costretta a girare con in borsa un certificato di esistenza in vita, che attesta che è ancora al mondo, accompagnato da quello del decesso dell’altra signora Gaetana Simoni. «Il Comune di Comacchio ha sì normalizzato la mia posizione, ma solo all’interno di questo territorio e se prima non esistevo, adesso esisto a metà», racconta la donna. «La mia tessera sanitaria è scaduta e non riescono a rifarla perché risulto morta, i farmaci non me li passano, a breve dovrò rinnovare la carta di identità e sarà un grosso problema. Ho pazientato per anni, non ho mai alzato la voce ma non posso andare avanti senza identità». Le avevano assicurato che il problema era stato risolto, ma quando nella mattinata di mercoledì 25 novembre si è recata per l’ennesima volta all’Agenzia delle Entrate ha scoperto di risultare ancora morta.
«Come funzionerà a livello fiscale? Dove sono finiti i miei contributi? E se arriveranno le tasse da pagare per un errore non mio, di cui ho dato subito comunicazione e dal quale nessuno mi tira fuori? Ma si rendono conto che non posso neppure viaggiare, prendere un aereo o quanto altro? Nemmeno in ospedale mi possono ricoverare. Mi sembra di vivere un incubo…», prosegue Simoni. «Ho fatto tutto quello che mi è stato detto, continuo a girare da un ufficio all’altro senza però venirne a capo. E non posso nemmeno prendermela con qualcuno in particolare perché trovo persone molto gentili, che restano basite quando racconto il mio caso. Eppure in qualche modo ne devo venire fuori. Non posso vivere senza avere una vita, svegliarmi ogni mattina con la speranza che non accada nulla perché non saprei come comportarmi. Nemmeno un contratto posso firmare, niente di niente».
Andrea F. de Cesco