Si apre oggi, 7 novembre, il processo per le violenze avvenute il 6 aprile 2020 ai danni dei detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. I 105 imputati presenti al dibattimento sono poliziotti penitenziari, funzionari del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e funzionari dell’azienda sanitaria locale. Le accuse sono di tortura, lesioni, abuso di autorità e falso in atto pubblico. “L’orribile mattanza”, come è stata definita negli atti dal Gip Sergio Enea, si è scatenata a seguito delle proteste dei detenuti che manifestavano per la sospensione delle visite imposta dal Covid e chiedevano la possibilità di avere mascherine e igienizzanti per le mani. Le aggressioni realizzate con calci e pugni e manganelli è testimoniato dalle telecamere di sorveglianza. Il maxi-processo si tiene nella nuova aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere da 600 metri quadrati. Il locale, dove 24 anni fa fu ospitata la prima udienza del processo Spartacus contro il clan dei Casalesi, è stato ristrutturato in soli due mesi dal Ministero della Giustizia con una spesa di 600mila euro.

L’omicidio – Dodici agenti sono inoltre accusati di omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine, morto a quasi un mese di distanza dalle percosse dopo molti giorni di isolamento. Uno degli imputati, l’agente della Penitenziaria Luigi Macari, è stato prosciolto su richiesta della Procura. La morte di Hamine era stata derubricata inizialmente a suicidio dal Gip Sergio Enea, ma poi reintegrata dopo il ricorso della Procura. Il detenuto, affetto da gravi disturbi psichiatrici, sarebbe morto in isolamento forzato dopo l’assunzione di massicce dosi di oppiacei.

La polemica – Dopo il riconoscimento di altri 41 agenti che erano intervenuti nella repressione ma mai identificati a causa dei caschi protettivi e delle mascherine anti-Covid, la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha ottenuto dal Gip la proroga delle indagini per il riconoscimento degli agenti restanti. Si discute sulla necessità di rendere riconoscibili i caschi delle forze dell’ordine per prevenire situazioni di questo genere.