Era il presidente della Onlus “Osservatorio nazionale dei diritti umani” e in tv parlava di giustizia, ma le intercettazioni telefoniche raccolte dalla Procura di Palermo rimandano un’immagine diversa del radicale Antonello Nicosia, accusato dai pm di associazione mafiosa per aver fatto da tramite tra i boss rinchiusi nelle carceri siciliane e i clan. Arrestato poco prima della sua fuga in California, secondo gli inquirenti, Nicosia sarebbe vicino al boss Messina Denaro e al capofamiglia DImino. Il conduttore della trasmissione “Mezz’ora d’aria” della tv siciliana Aracne avrebbe sfruttato il suo incarico di collaboratore della deputata di Italia Viva (ex Liberi e Uguali) Pina Occhionero per avere rapporti privilegiati con i detenuti. Occhionero non è in alcun modo coinvolta nell’inchiesta.
L’ accusa – Antonello Nicosia, quarantotto anni, originario di Sciacca, che solo due settimane fa partecipava alla “Leopolda” convocata a Firenze da Matteo Renzi, ora si trova in carcere assieme a quattro fiancheggiatori dei capiclan accusati come lui di associazione mafiosa. Le accuse si basano su intercettazioni telefoniche vagliate dal procuratore Franco Lo Voi con l’aggiunto Paolo Guido e con i sostituti Francesca Dessì e Geri Ferrara, che proverebbero i rapporti tra Nicosia e il super boss latitante Matteo Messina Denaro, definito dallo stesso “Il nostro primo ministro”. Secondo l’accusa, Nicosia avrebbe fatto parte del clan di Messina Denaro e sarebbe vicino al boss Accursio DImino. A convincere la Procura che Nicosia era “pienamente inserito nella organizzazione mafiosa” e a spingere i carabinieri del Ros ad arrestarlo nella notte tra il 3 e il 4 novembre, ci sarebbe la pianificazione dell’omicidio di un imprenditore di Sciacca da parte dello stesso Nicosia in collaborazione con il boss Dimino, con il quale aveva progettato la successiva fuga in California.
I contatti – Grazie al suo ruolo di collaboratore della deputata Occhionero, definita dai magistratti estranea ai fatti, Nicosia aveva modo di intrattenere dei colloqui con i detenuti. Un’opportunità che, secondo la Procura, avrebbe sfruttato per favorire le comunicazioni tra l’interno e l’esterno del carcere. «Quando entri con un deputato, non è come quando entri con i Radicali – dice Nicosia nelle intercettazioni – Chiudono la porta…». Il fascicolo della Procura contiene anche l’accusa di aver studiato un progetto «afferente il settore carcerario» e di essere «in attesa di un ingente finanziamento di Messina Denaro per la realizzazione di un non meglio delineato progetto», non soddisfatto dei semplici ringraziamenti ricevuti dal boss.
Rapporti con la mafia – Le “ispezioni” di Antonello Nicosia nelle carceri risalgono al 21 dicembre 2018 a Sciacca, poi a Trapani e ad Agrigento e il 1 febbraio 2019 a Tolmezzo. Stando a quanto sostiene la Procura, Nicosia stava programmando altre visite nelle carceri, sempre sfruttando il suo incarico di collaboratore della deputata Occhionero. «All’aeroporto bisogna cambiare il nome – dice Nicosia in una registrazione – Non va bene Falcone e Borsellino. Perchè dobbiamo arriminare (girare, ndr) sempre la stessa merda. Sono incidenti sul lavoro, no? Ma poi quello là non era manco magistrato quando è stato ammazzato, Falcone. Aveva già un incarico politico, non esercitava». Nicosia, che aveva alle spalle anche una condanna per traffico di droga, nel suo programma tv parlava di diritti umani. Sul suo curriculum compariva anche un incarico come docente all’Università della California, ma il suo nome non risulta negli elenchi del college americano.
I radicali e la deputata – La parlamentare nelle file di Italia Viva Giuseppina Occhionero ha commentato l’accaduto prendendo le distanze dal collaboratore: «Quello che si legge nelle intercettazioni è vergognoso e gravissimo. La collaborazione con me, durata solo quattro mesi, era nata in virtù del suo curriculum, in cui si spacciava per docente universitario oltre che di studioso dei diritti dei detenuti – dice la deputata – Non appena ho avuto modo di rendermi conto che il suo curriculum e i suoi racconti non corrispondevano alla realtà ho interrotto la collaborazione. Le visite in carcere peraltro sono parte del lavoro parlamentare a garanzia dei diritti sia dei detenuti sia di chi vi lavora». Anche i membri dei radicali si dissociano da Nicosia. «Avevamo avuto divergenze proprio su come dovevano essere effettuate le visite in carcere – dice Rita Bernardini, membro del Consiglio Generale del Partito Radicale al Corriere.it – A me non piaceva come operava quando io ero segretario dei Radicali Italiani e lui era iscritto al movimento. Poi i rapporti si sono interrotti quando lui è entrato nel comitato nazionale dei Radicali Italiani ed io nel Partito Radicale».