«La mamma è vestita che sembra una Ninja». Diceva così il piccolo Alvin, il bambino di 11 anni portato da Barzago (Lecco) fino in Siria dalla madre che voleva servire l’Isis, e che ora sta tornando in Italia.

Il ritrovamento del bimbo –  Le forze dell’ordine italiane hanno rintracciato il bambino nel campo profughi di Al Hol, territorio del nord-est della Siria controllato dai curdi. Una foto del piccolo, scattata dal personale della Croce Rossa, è stata mostrata al padre, il muratore Afrimm Berisha, che ha riconosciuto il figlio. La madre, Valbona Berisha, albanese di 35 anni, lo aveva portato via nel 2014 per unirsi al sedicente Stato Islamico. Secondo le prime ricostruzioni, la donna sarebbe morta in un’esplosione. Il piccolo, nato in Italia, viveva nell’“area orfani” di Al Hol. Alvin «ricorda di avere avuto dei pregressi in Italia» ha spiegato in un verbale, di fronte al Gup di Milano Guido Salvini, un investigatore del Ros dei carabinieri.

La fuga dall’Italia – Era il 17 dicembre 2014 quando Valbona Berisha scappò da Barzago, nel lecchese, portandosi dietro il suo terzogenito Alvin, che aveva 6 anni. Il marito aveva subito denunciato la scomparsa. In Italia dal 2000, con una famiglia ben integrata, “Bona” (il soprannome della donna) casalinga, era diventata nel giro di poco tempo estremista islamica. Stando alle indagini, la donna avrebbe avuto contatti con terroristi dell’Isis ad alti livelli e avrebbe raggiunto Al Bab, a una quarantina di chilometri da Aleppo, grazie all’aiuto di un foreign fighter anch’egli albanese, forse poi morto nel 2015. Nelle scorse settimane, la storia di Alvin è arrivata al grande pubblico con il servizio della trasmissione Le Iene. Il padre, infatti, aveva raggiunto il campo profughi in Siria e spiegava nel servizio di essere riuscito anche a parlare col figlio.

L’inferno della Siria e poi il ritorno a casa – Dagli atti dell’indagine sembra che la donna, dopo avergli cambiato nome in “Yusuf”, abbia obbligato il figlio a frequentare un campo di addestramento per imparare «la lotta corpo a corpo e l’uso delle armi» in modo da servire l’Isis. Il piccolo ha finalmente lasciato il campo di Al Hol, che ospita oltre 70mila persone, in gran parte ciò che resta delle famiglie degli jihadisti. Il bambino è stato prelevato dal campo con un’operazione, che ha coinvolto anche la Croce Rossa e la Mezzaluna rossa, e trasferito fino a Damasco da dove poi ha raggiunto il confine con il Libano. Raggiunta l’ambasciata italiana a Beirut, dove si trova al momento, rientrerà nel nostro Paese probabilmente oggi.

Il precedente di Lecco – Non è primo il caso di una madre foreign fighter che parte dalla provincia di Lecco. Alice Brignoli, 42enne italiana, era partita nel febbraio 2015 da Bulciago, per unirsi ai miliziani di Abu Bakr al-Baghdadi, l’allora leader dell’Isis recentemente ucciso. Secondo quanto riportato da Il Giorno lo scorso 9 ottobre, la donna si troverebbe in un campo profughi al nord della Siria, con i suoi quattro figli e vorrebbe rientrare in Italia. Di Mohamed Koraichi, il marito 31enne di origini marocchine con cui era scappata in Siria, non ci sono più tracce da tempo e sono in molti a essere convinti sia morto in combattimento.

I “figli di Daesh” – Stando all’allarme lanciato lo scorso 5 novembre dall’Unicef, i bambini rinchiusi nei campi profughi siriani sono in tutto 28mila. «I governi nazionali hanno la responsabilità e l’opportunità di fare adesso la cosa giusta e riportare questi bambini e i loro genitori a casa, dove possono ricevere cure adeguate ed essere al sicuro da violenze e abusi», ha detto Henrietta Fore, direttrice generale dell’Unicef. La maggior parte dei minori bloccati nei campi profughi proviene dall’Iraq: l’80% del totale ha meno di 12 anni e il 50% meno di cinque. Vengono da 60 Stati diversi e alcuni di loro si trovano in condizioni di detenzione perché sospettati di avere legami con le famiglie di foreign fighters e di poter quindi diventare i futuri jihadisti.