Ogni settimana vengono sprecati 566,3 grammi di cibo (Ansa)

Frutta, verdura e tuberi. Sono questi gli alimenti più sprecati in Italia, secondo il report “Waste Watcher 2024” dell’Osservatorio internazionale su cibo e sostenibilità, pubblicato in occasione dell’undicesima Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare. Nella pattumiera di ciascun italiano vengono buttati circa 81 grammi di cibo ogni giorno, l’8,05% in più rispetto allo scorso anno.

Il report – Lo spreco alimentare si traduce in un dispendio di denaro: l’impatto economico in Italia è di oltre 13 miliardi, con un costo di circa 290 euro annui a famiglia. Dati che includono lo spreco domestico, ma anche quello che avviene nella distribuzione e nell’industria. Lo studio dell’Osservatorio ha rilevato come l’impatto sia maggiore nelle città e nei grandi Comuni (+8%), soprattutto nel Sud del Paese (+4% rispetto alla media nazionale), e nei consumatori a basso potere d’acquisto (+17%). Questo perché le persone di ceto popolare comprano cibo di minore qualità e quindi più facilmente deteriorabile.

L’impatto dell’inflazione – «Sono dati che dobbiamo analizzare con cura perché ci permettono di evidenziare la stretta connessione tra inflazione e insicurezza globale da un lato e ricaduta sociale dall’altro», ha dichiarato a EcodalleCittà Andrea Segrè, direttore scientifico di Waste Watcher: «Scegliere cibo scadente, meno salutare e spesso di facile deterioramento non comporta solo un aumento di quello che viene sprecato in pattumiera, ma anche un peggioramento nella propria dieta e nella sicurezza alimentare. Se la salute nasce a tavola, dal cibo scadente deriva l’aggravio dei costi sociali e ambientali».

Combattere lo spreco – Ridurre questi numeri è possibile, ma servono delle nuove abitudini alimentari. Un consumatore su due cerca di comprare alimenti vicini alla scadenza, con il rischio di non consumarli in tempo. Tra gli accorgimenti, l’Osservatorio suggerisce di non cucinare porzioni troppo abbondanti oppure di riutilizzare il cibo in eccesso. L’educazione alimentare parte però dalle scuole e per questo sarebbe importante aumentare il livello di consapevolezza dei giovani già durante gli anni di istruzione e far conoscere ai cittadini più grandi gli effetti negativi su economia e ambiente.