Riccardo Chiarioni ha deciso di rinunciare al ricorso in appello e sconterà i 20 anni di reclusione inflitti in primo grado dal tribunale per i minorenni di Milano. Nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024, quando aveva 17 anni, in una villetta a Paderno Dugnano (nel Milanese), uccise con 108 coltellate il padre, la madre e il fratello di 12 anni. Il ragazzo, che ora ha 19 anni, il 27 giugno scorso era stato condannato alla pena massima prevista per il triplice omicidio con rito abbreviato. La sentenza non aveva tenuto conto della perizia che aveva accertato per lui un vizio parziale di mente.
La storia – A fine settembre, in 51 pagine di motivazioni, la giudice Paola Ghezzi aveva spiegato perché aveva deciso di condannarlo alla pena massima: «Era guidato da un pensiero stravagante e bizzarro, ossia il progetto di raggiungere l’immortalità attraverso l’eliminazione della sua famiglia, come lui stesso ha raccontato. E quando ha compiuto in modo spietato quella strage, rimasta senza un vero movente, hanno influito sia le alterazioni della sua personalità, sia una grossa dose di rabbia ed odio narcisistici, accumulati ad ogni frustrazione. Ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e dopo».
Il precedente – La decisione presa da Riccardo Chiarioni non è frequente nella prassi giudiziaria italiana, ma non inedita. Prima di lui, il protagonista di un altro grande caso di cronaca nazionale ha fatto la stessa scelta. Filippo Turetta ha rinunciato ai motivi d’appello contro la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin. La comunicazione è avvenuta tramite una lettera a firma dello stesso Turetta (in cui scriveva di un «sincero pentimento»), inviata al Tribunale e alla Corte d’Appello di Venezia.




