«Sono uno psicopatico che ha bisogno di calmarsi», così si definisce nel suo interrogatorio Kosta K., il killer tredicenne che il 3 maggio ha ucciso otto compagni di classe, sette ragazze e un ragazzo, nella sua scuola a Belgrado. Progettava tutto da almeno un mese: è entrato con una mappa dell’edificio, alcune bottiglie molotov, due pistole e un elenco di “bersagli”. Dopo aver ucciso una guardia giurata che ha provato a fermarlo, ha colpito a morte otto ragazzi, tra cui un’alunna francese, poi ne ha feriti altri sei e l’insegnante. Terminata la strage, è stato lui stesso a chiamare la polizia e a confessare gli omicidi. «Ha detto di essere stato preso dalla paura, dal panico e da una strana respirazione e che gli era sembrato corretto chiamare le autorità» ha riferito il capo della polizia di Belgrado. «Quando mia figlia ha visto la guardia cadere si è spaventata ed è corsa in classe» racconta la madre di una bambina che ha assistito alla sparatoria, «Il docente ha messo i bambini in salvo chiudendoli in aula».
Il killer – L’omicida, Kosta K., non è imputabile in Serbia, dove solo chi ha almeno 14 anni può essere perseguito penalmente. Al suo posto sono stati incarcerati entrambi i genitori mentre lui è stato sottoposto ad analisi tossicologiche. Dopo i colloqui con i servizi sociali, gli psicologi e gli psichiatri è stato portato in un ospedale per minorenni. Il killer è stato descritto come un ragazzo gentile, diligente nello studio e appassionato di astrofisica e sport. Nonostante non abbia spiegato il movente, tutto fa pensare ad una vendetta per atti di bullismo subiti da parte dei compagni. Il capo della polizia di Belgrado riferisce che l’omicida ha confessato ai servizi sociali di «essere stato ignorato da parte della società ed emarginato nelle comunicazioni e nei giochi durante le vacanze o gite turistiche». Secondo alcuni media l’omicida sarebbe anche stato sotto effetto di stupefacenti al momento della strage.
Le armi – Oltre alla calibro nove con cui è avvenuta la strage, Kosta K. ha portato con sé un’altra pistola più piccola in una borsa. Entrambe le armi appartenevano al padre, che le custodiva in una cassaforte di cui il ragazzo conosceva la combinazione. Il genitore, medico radiologo, era un frequentatore del poligono di tiro, dove portava spesso anche il figlio.
Il contesto – La carneficina di Belgrado ha inquietato l’opinione pubblica serba, anche perché avvenuta in un contesto di particolare agio sociale. Il killer, secondo il presidente serbo Aleksandar Vucic, proviene da una famiglia benestante e rispettabile: il padre radiologo e professore, la madre avvocata. Anche la scuola “Vladislav Ribinkar”, dove è avvenuta la strage, si trova al centro della capitale, in uno dei quartieri più prestigiosi, una zona residenziale e alla moda, abitata da diplomatici e manager. A frequentare l’istituto sono soprattutto famiglie con un reddito almeno di 300 mila dinari al mese, pari a 2.500 euro, mentre la media serba è di 80 mila dinari, cioè 650 euro.
Le reazioni – La strage di Belgrado ha suscitato in Serbia una riflessione sui frequenti episodi di violenza e molestie sessuali nelle scuole, legati anche a un aumento del consumo di stupefacenti. Il governo serbo ha deciso la chiusura delle scuole per il 4 maggio e ha istituito tre giorni di lutto nazionale, dal 5 al 7 maggio. Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, e Antonio Tajani, ministro degli esteri italiano, hanno espresso attraverso Twitter dispiacere per l’accaduto e vicinanza alle vittime.