L’ultima volta che lo hanno visto, alle tre di notte del 4 febbraio, Ousmane Sylla stava pregando. Voleva tornare a casa da sua madre e dai suoi fratelli e lasciare l’Italia. Si è tolto la vita poche ore dopo, intorno alle cinque, impiccandosi con un lenzuolo alle sbarre del cpr di Ponte Galeria a Roma. In cinque righe, a matita, sulla parete della cella in cui era recluso, Sylla aveva scritto il suo testamento. Diceva: « Se dovessi morire vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, lì mia mamma sarebbe lieta. I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro. L’Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace». Sopra al messaggio, un disegno con il suo volto: capelli lunghi, occhi spenti e bocca chiusa. Subito dopo la sua morte, nel cpr è scoppiata una rivolta con lanci di sassi e tentativi di incendio. Due carabinieri e un militare dell’Esercito sono stati feriti e 14 trattenuti sono stati arrestati. La procura di Roma ha aperto un fascicolo d’indagine per istigazione al suicidio e disposto l’autopsia sul giovane.

Chi era Ousmane Sylla – Ventiduenne nato in Guinea, era arrivato in Sicilia il 28 ottobre scorso. Dopo il rigetto della sua domanda di protezione internazionale, era stato raggiunto da un provvedimento di espulsione e inviato nel cpr di Milo, in provincia di Trapani. Da lì sarebbe dovuto rientrare in Guinea, senza tempi certi, perché l’Italia non ha con il suo Paese un accordo per i rimpatri. Il trasferimento a Roma è avvenuto dopo che il 22 gennaio una serie di incendi appiccati dai trattenuti di Trapani aveva distrutto alcuni dei “moduli abitativi”: così sono chiamate le celle che ospitano i migranti. Oltre alle cinque righe scritte a matita e al suo ritratto, di lui è noto finora quello che hanno rivelato gli altri trattenuti che lo hanno conosciuto. Da quanto si apprende, era arrivato in Italia per lavorare e inviare il denaro alla madre e a due fratelli piccoli rimasti in Africa. I suoi compagni di cpr hanno dichiarato che da quando era stato trasferito «piangeva sempre, era disperato, voleva tornare a casa per accudire i due fratelli piccoli che lo stavano aspettando».

Il centro per rimpatri di Roma – A documentare le condizioni del cpr di Roma, le denunce che da anni presentano le associazioni (Croce Rossa, Medici per i diritti umani, Asgi, Mai più lager – No ai cpr). Nel 2019 un video pubblicato da Fanpage  mostrava condizioni igieniche molto scarse e persone che dormivano all’aperto, con materassi disposti per terra e in cortile. Nel 2023 la senatrice di Alleanza verdi sinistra Ilaria Cucchi ha presentato un esposto alla procura di Roma dopo avere visitato Ponte Galeria con una telecamera nascosta. La senatrice aveva spiegato che i trattenuti vivevano «in gabbie, talvolta nel loro sterco, senza possibilità di comunicare con l’esterno. Vengono loro somministrate quantità di industriali di psicofarmaci per farli stare buoni». La senatrice, che aveva sottolineato che il 90% di loro aveva la fedina penale pulita, aveva poi dichiarato: «Sembrano polli in un allevamento intensivo, con la differenza che, soffrendo spesso la fame, non ingrassano».

Cos’è un cpr  – I centri di permanenza per i rimpatri sono strutture di trattenimento destinate a stranieri la cui permanenza sul suolo italiano è ritenuta irregolare. Le persone recluse nei cpr si trovano in detenzione amministrativa e vi rimangono finché non viene eseguito il provvedimento di espulsione nei loro confronti. Il loro ingresso è autorizzato da un giudice di pace, e il questore ne dispone l’espulsione dall’Italia. Il rimpatrio però avviene soltanto una volta avuta l’approvazione da parte del Paese d’origine. Per questo motivo nei cpr dovrebbero finirci solo migranti provenienti da nazioni con cui l’Italia ha un accordo. Tra questi non c’è la Guinea, Paese dell’Africa occidentale da cui proveniva Ousmane Sylla. Con l’approvazione del decreto Cutro nel settembre 2023, il tempo massimo di permanenza nel cpr è stato esteso da 3 a 18 mesi. In Italia sono attualmente presenti nove cpr,: a Milano, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Roma,  Palazzo San Gervasio (Potenza), Bari, Brindisi, Caltanissetta, Trapani e Macomer (Nuoro). La gestione dei centri è affidata a privati scelti tramite bando pubblico della Prefettura, che dovrebbe vigilare sulle condizioni all’interno.

Autolesionismo e suicidio – Un rapporto del 2023 ha messo insieme le denunce di Mai più lager – No ai cpr (la rete di attivisti che raccoglie immagini e testimonianze dai cpr di tutta Italia) che documentano casi di autolesionismo e violazione dei diritti di base. Tra questi, la mancata assistenza sanitaria, con malati oncologici trattenuti che non hanno accesso alle cure, e un caso di arresto cardiaco nel cpr di Torino (che al momento non è attivo). Nel dicembre 2023 la procura di Milano ha aperto un’inchiesta sulla società che gestisce il cpr di via Corelli a Milano. Per anni, da quella struttura erano arrivate notizie di violenze sui trattenuti e di tentativi di suicidio, ma anche immagini di cibo avariato e con vermi. Diverse inchieste giornalistiche hanno documentato situazioni simili nei cpr di tutta Italia, con casi di autolesionismo e difficili condizioni igieniche. All’interno delle strutture è documentato anche l’abuso di psicofarmaci, somministrati ai trattenuti senza visite psichiatriche e allo scopo di tenerli sedati.