Il luogo dell'agguato (credit: Ansa)

Il luogo dell’agguato (credit: Ansa)

Per vendetta, o forse per affari. Ma è molto probabile che in mezzo ci sia la mafia. Tra i morti, uccisi a colpi d’arma da fuoco nella serata di lunedì 17 marzo su una strada statale all’altezza di Taranto, c’è Cosimo Orlando, pregiudicato in stato di semilibertà. Insieme a lui, alla guida della Matiz rossa su cui viaggiava, si trovavano la compagna, Carla Maria Fornari, e tre bambini di sette, sei e quattro anni. Madre e figlio più piccolo, che sedeva in braccio all’uomo, sono le altre due vittime di una strage che ha tutti i connotati di un regolamento di conti.

Alla vista dell’auto che sbandava e andava a sbattere contro il guard rail, gli automobilisti che stavano percorrendo quel tratto di SS106 che collega la città pugliese a Reggio Calabria hanno pensato a un incidente stradale. E questa, infatti, era la segnalazione arrivata al 118. Ma non c’è voluto molto, una volta che i soccorsi e le forze di polizia sono giunti sul posto, a capire che si trattava di un agguato di mala. Un’auto, con a bordo due uomini, ha tagliato la strada all’utilitaria, constringendola a fermarsi.

Obiettivo della scarica di colpi che ha investito l’abitacolo era Cosimo Orlando, 43enne pregiudicato in semilibertà, che stava scontando una condanna per duplice omicidio nel carcere di Taranto, dove proprio quella sera stava rientrando. L’uomo era stato condannato per l’uccisione di Filippo Scarciello e Giancarlo La Cava, avvenuta per una vicenda legata al traffico della droga il 4 novembre 1998. È questa è la pista maggiormente battuta dagli inquirenti, alla ricerca ora di telecamere di sorveglianza che ricostruiscano il tragitto percorso dai killer.

Giorgia Wizemann