Quasi 40mila morti. Ma il bilancio potrebbe ancora salire. A distanza di sette giorni dalla scossa di terremono di magnitudo 7.8 che ha devastato Siria e Turchia, il conto della morte continua a salire mentre si continua a scavare tra le macerie e perfino a ad assistere qualche miracolo salvataggio che smentisce la scienza e ravviva la speranza. Intanto è partita la caccia ai capri espiatori: Erdogan ha arrestato più di 100 costruttori ritenuti responsabili di aver violato le normative edilizie del paese. In Siria l’organizzazione Medici senza Frontiere, che opera nelle province settentrionali controllate dai ribelli, fa sapere di aver ricevuto per ora pochissimi aiuti.

Moralizzazione ad Ankara – «Queste catastrofi sono sempre accadute e fanno parte del piano del destino» ha dichiarato il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan, che si starebbe preparando alle elezioni nazionali più difficili della sua carriera politica. Il leader ha promesso di cominciare la ricostruzione del Paese entro qualche settimana, mentre i capi dell’opposizione lo accusano di non aver fatto rispettare le norme di costruzione, proprio in un paese ad alto rischio sismico. Comunque nelle dieci province turche coinvolte sono stati arrestati più di 100 impresari edili con l’accusa di aver violato le normative edilizie del paese. Solo nella provincia di Malatya la magistratura ha emesso un mandato di arresto per 31 costruttori. Il ministero della Giustizia ha autorizzato i procuratori ad avviare cause contro tutti gli impresari edili del paese. Secondo l’Unione delle camere degli ingegneri turchi sarebbero 75mila i palazzi danneggiati in modo irreparabile.

Gli aiuti per la Siria – Dopo il terremoto è stato chiuso per tre giorni il valico di Bab-al-Hawa, l’unico utilizzabile per il passaggio dei convogli umanitari che dalla Turchia portavano aiuto al governatorato di Idlib nella Siria nord-occidentale controllata dai ribelli. E’ stato riaperto mercoledì 8 febbraio, ma i convogli faticano ad arrivare. Domenica 12 febbraio il primo soccorso da un Paese europeo, ha riferito l’agenzia ufficiale siriana Sana, è giunto a destinazione. Non è andata a buon fine invece la consegna di aiuti a Idlib da parte dell’Onu. A denunciarlo è Filippo Agostino, referente per la Siria dell’ Ong Fondazione Avsi: «le Nazioni Unite hanno dichiarato che un convoglio umanitario partito da Damasco, nell’ambito di operazioni transfrontaliere, è stato bloccato dai ribelli». Solo una settimana prima del terremoto una tempesta di neve aveva colpito la zona, dove già prima della tragedia il 90% della popolazione dipendeva dagli aiuti umanitari. Il colera diffusosi a partire dallo scorso settembre e la scarsità di acqua potabile nella regione sono solo due degli innumerevoli problemi che si aggiungono alla tragedia del terremoto. Il capo dell’organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, da Damasco ha fatto sapere che il presidente Bashar al-Assad sarebbe disponibile ad aumentare le aperture di valichi di frontiera per incrementare gli aiuti.

Il piano dell’Europa – Domenica 12 febbraio la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha ricordato in un colloquio telefonico con Erdogan il piano attuato fin ora da Bruxelles attraverso il meccanismo di protezione civile: i 21 stati membri dell’Ue hanno messo a disposizione 38 squadre di intervento, confermando la pianificazione per marzo di una conferenza dei donatori per Turchia e Siria a Bruxelles. I primi aiuti umanitari giunti a Beirut sabato 11 febbraio sono italiani, destinati alle zone della Siria controllate dal governo del presidente Assad:  30 tonnellate di materiale sanitario, incluse quattro ambulanze e un team di quattro medici.

I sommersi poi salvati – Uno spiraglio di luce nella tragedia: il ritrovamento di persone vive sotto le macerie, la maggior parte bambini, a oltre cento ore dalla tragedia, sembra per fortuna smentire l’indicazione della scienza: il tasso di sopravvivenza degli esseri umani intrappolati dopo un sisma è del 22% dopo 72 ore e appena il 6% entro il quinto giorno. L’ultima ritrovata è una 55enne che, intrappolata nella sua casa ad Hatay (provincia di Antiochia), dopo 159 ore aveva ancora la forza di battere una pietra contro il muro per farsi sentire. La maggior parte di coloro che ancora riescono a riemergere sono bambini, che con i loro corpi più piccoli sono a volte protetti dalle cavità che si formano dopo i crolli. Lunedì 13 febbraio, tra gli altri, sono tornati alla luce dopo oltre 140 ore una bambina di 10 anni nel sud della Turchia e un altro di 8 anni nella provincia di Adiyaman. Non lontano, nel distretto di Antakya, è stato salvato un lattante di 7 mesi e nella stessa provincia una ragazzina di cui non si conosce l’età è stata tratta in salvo a 146 ore dal crollo della sua abitazione. Sempre nella Turchia meridionale un 35enne è stato tratto in salvo dopo sei giorni trascorsi sotto le macerie. Durante le operazioni di salvataggio, Mustafa, questo il nome del giovane, ha avuto la forza di pronunciare le parole: «Presto, soffro di claustrofobia», come ha fatto sapere la Cnn turca. Dopo 128 ore un neonato di circa due mesi è stato salvato a Kahramanmaras. Il destino dei minori è ancora più incerto, perché spesso si tratta di orfani. Venerdì 10 febbraio secondo il ministero della Famiglia e dei Servizi sociali turchi 263 famiglie di bambini estratti vivi dalle macerie erano irraggiungibili. In Sioria e Turchia gli orfanotrofi scarseggiano e parte degli esperti sconsiglia l’adozione subito dopo la tragedia: ci vuole del tempo per accertarsi che non sia rimasto nessun parente stretto disposto a prendersi cura del bambino.