Giulio Regeni

Il ricercatore Giulio Regeni (Foto: Facebook)

Il ministero dell’Interno egiziano ribadisce: «I nostri servizi segreti non c’entrano nulla». E in una nota accusa i media occidentali di avere tirato le somme troppo in fretta. «Ci vuole tempo» per concludere le indagini sull’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, scomparso lo scorso 25 gennaio in Egitto e trovato morto a lato di una strada periferica del Cairo il 3 febbraio. Sul corpo del 28enne, i segni evidenti di percosse e ferite. Alcuni dettagli dell’autopsia sono stati rivelati dall’agenzia Reuters che ha citato una fonte medico-legale: sette costole rotte, segni di scosse elettriche sui genitali, lesioni traumatiche e tagli inferti con lame affilate su tutto il corpo, lividi e abrasioni e anche un’emorragia cerebrale. I sospetti degli inquirenti italiani e internazionali sono subito caduti sull’intelligence egiziana. Regeni era ricercatore al Cairo per l’università inglese di Cambridge, per cui studiava i sindacati di opposizione al presidente al-Sisi. Questo potrebbe avere richiamato l’attenzione del regime su di lui.

Le indagini procedono a rilento in Egitto, Paese con cui l’Italia mantiene fitti rapporti commerciali. Al vaglio degli inquirenti, le persone con cui lo studioso era in contatto ma anche l’ultimo report inviato a Cambridge dal titolo “Cresce il malcontento” e le parole dei testimoni. E nell’attesa di un commento del presidente del Consiglio Matteo Renzi, prendono piede alcune ipotesi. Ecco le principali:

1- Giulio Regeni era una spia dei servizi italiani: che Giulio sia stato arrestato da due agenti della polizia egiziana perché sospettato di spionaggio è la tesi del New York Times, che lo ha scritto in un articolo citando fonti locali. L’ipotesi spionaggio si è diffusa però anche in Italia perché il giovane ricercatore scriveva, sotto pseudonimo, articoli sui sindacati egiziani per il Manifesto. Notizia poi smentita dal giornale, che ha affermato che Regeni ha proposto un solo articolo, pubblicato dopo la sua morte. La permanenza di uno studioso al Cairo – città che negli ultimi anni ha vissuto la transizione da Mohamed Morsi al generale al-Sisi – è però nella norma per chi come Regeni sia specializzato in politica mediorientale. Il ricercatore aveva anche lavorato per Oxford Analytica, azienda che analizza tendenze politiche ed economiche su scala globale per enti privati, agenzie e cinquanta governi.

2- Giulio Regeni è stato incastrato: che il ricercatore inviasse il proprio materiale di studio – dati e scoperte – al proprio supervisor dell’università di Cambridge è normale prassi accademica. Ma ha generato il dubbio che Regeni fosse rimasto vittima di una rete di spionaggio britannico con cui erano collusi i suoi professori, che avrebbero diffuso le sue ricerche sull’opposizione al governo egiziano mettendolo nel mirino dell’intelligence.

3- Giulio Regeni è stato ucciso dai Fratelli musulmani: la pista fondamentalista islamica è stata sollevata da alcuni media italiani ma non ha trovato riscontro nelle dichiarazioni del governo egiziano, che pure avrebbe interesse ad accusare i propri principali oppositori. Il ministro degli Interni si è limitato a dire che la brutalità dei suoi servizi di sicurezza non è che una maldicenza messa in giro dai Fratelli Musulmani per screditare il governo di al-Sisi. Tesi smentita dai segni sul corpo di Regeni che, secondo l’esperto di Egitto contemporaneo Khaled Fahmy, avrebbero spinto chi lo ha torturato a un punto di non ritorno: quello oltre il quale era impossibile restituire il ricercatore vivo e testimone “occidentale” della realtà delle carceri egiziane.

Chiara Piotto