Basta sconti per la Chiesa. A stabilirlo è la Corte di giustizia europea, che con una sentenza del 27 giugno ha deciso che gli edifici di proprietà della Santa sede non devono essere esenti dall’imposta comunale sugli immobili (meglio nota in Italia come Imu) se non strettamente impiegati per finalità religiose. La sentenza afferma che le esenzioni fiscali potranno essere negate (la decisione finale spetta all’autorità giudiziaria nazionale) se negli immobili per cui vengono richieste si svolgono attività di tipo economico, come le scuole cattoliche, non sovvenzionate dallo Stato ma finanziate, almeno in parte, da privati. La Corte si è espressa sul caso della Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania, in Spagna. Ma la sentenza rischia di avere ripercussioni anche in Italia.

La sentenza – «Un’esenzione fiscale di cui beneficia una congregazione della Chiesa cattolica per opere svolte in un edificio destinato all’esercizio di attività prive di finalità strettamente religiose, è suscettibile di essere negata come previsto dall’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE (trattato sul funzionamento dell’Unione europea); se, e nella misura in cui, queste attività sono di tipo economico, spetterà al giudice stabilirne la liceità». Questa la sentenza della Corte di giustizia europea sulla vicenda di una scuola cattolica con sede vicino a Madrid, che ha chiesto allo Stato un rimborso di 24mila euro per le imposte versate per alcuni lavori di ristrutturazione realizzati nella sala conferenze dell’edificio. Il rimborso è stato chiesto in forza delle esenzioni fiscali previste da un accordo fra la Spagna e la Santa sede in vigore da prima dell’entrata dello Stato nella Comunità europea. Il fisco spagnolo si è rifiutato di versare il risarcimento perché la sala in questione viene usata per impartire l’istruzione primaria e secondaria, equivalente a quella impartita dalle scuole pubbliche e anch’essa finanziata dal bilancio statale. Inoltre vi si tengono corsi di istruzione prescolare, extrascolastica e post-obbligatoria libera per i quali è previsto un contributo di iscrizione da parte delle famiglie dei bambini. La Corte Ue ha stabilito che, non essendo una chiesa, l’edificio deve pagare l’imposta, perché l’esenzione assumerebbe il profilo di un aiuto di Stato che in questo caso viola le leggi comunitarie: le esenzioni economiche distorcerebbero concorrenza e mercato.

Le ripercussioni – La sentenza sembra segnare un punto di svolta nelle relazioni fra Stati dell’Unione europea e la Santa Sede. Affermando che le sovvenzioni statali, se concesse a immobili che non sono luoghi di culto, sono vietate perché darebbero un vantaggio che viola il criterio di concorrenza del mercato unico e farebbero anche entrare meno soldi nelle casse del Comune, la Corte europea apre alla possibilità che anche in Italia la Chiesa inizi a pagare le imposte comunali sugli immobili di sua proprietà. La questione, nel nostro Paese, è annosa. L’anno scorso il Tribunale dell’Ue ha respinto il ricorso contro il mancato pagamento dell’Imu da parte della Santa sede, perché non si è dimostrata l’effettiva violazione del regime di concorrenza e di conseguenza l’incompatibilità con le regole dell’Unione europea. In altre parole, l’autorità giudiziaria nazionale dovrebbe dimostrare che il fatto che la Santa Sede non paghi le imposte comunali sugli edifici sparsi sul suolo italiano (e non adibiti all’esercizio del culto), causi uno svantaggio o un danno agli enti che svolgono lo stesso tipo di attività e che invece l’Imu la pagano regolarmente.