«Continueremo nonostante le accuse»: con queste parole hanno risposto le ragazze e i ragazzi di Ultima Generazione quando gli è stato chiesto se, dopo l’ipotesi d’imputazione dei reati di associazione a delinquere mosse dalla Procura della Repubblica di Padova, avessero intenzione di smettere con le azioni di imbrattamento dei beni storico-artistici di cui si sono resi protagonisti fino ad oggi. Ultima Generazione, movimento a carattere ambientalista, non è nuova allo scontro con le istituzioni. Solo pochi giorni fa il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano aveva dichiarato: «Chi imbratta, rovina, deturpa, deve pagare anche i danni». Le sue parole arrivavano dopo l’ultima protesta degli attivisti, che il primo aprile avevano riempito la fontana della Barcaccia di Roma con del liquido nero: in quell’occasione il ministro aveva annunciato il “ddl ecovandali” approvato dal Consiglio dei ministri.
Il caso – Gli investigatori delle forze dell’ordine stavano portando avanti accertamenti già dal 2020, quando alcuni manifesti di un altro collettivo ambientalista, “Extinction Rebellion“, vennero affissi sulle vetrine di alcuni negozi del centro di Padova. Da qui in poi le indagini si sono spostate sugli attivisti di Ultima Generazione, di cui non è chiaro se i membri coincidano in tutto o in parte con quelli di ER. Gli agenti hanno indagato su azioni organizzate nella città, dimostrando come le proteste degli attivisti abbiano un carattere politico. A Ultima Generazione vengono contestati i reati e le condotte illecite di blocchi alla circolazione stradale, il deturpamento o l’imbrattamento di immobili pubblici o privati e di beni culturali con vernici idrosolubili. È la prima volta però che la procura arriva a parlare dell’ipotesi di reato di associazione a delinquere.
La risposta – «Continua la repressione, cinque comuni cittadini che hanno messo in atto delle giuste proteste per un’emergenza che non si può più negare sono stati denunciati per ‘associazione a delinquere’» afferma il collettivo affidando lo sfogo ad un post su Facebook: «Dei cittadini nonviolenti trattati come se fossero dei mafiosi». Il post continua asserendo che «sono state coinvolte anche persone che non avevano partecipato direttamente all’azione» e «una di loro è stata nominata ‘capo’ in maniera arbitraria. Questa è la legge del Far West, non la legge di uno stato democratico. Che vi piacciano o no le nostre azioni, c’è da indignarsi. Sono provvedimenti fuori da ogni schema, non hanno alcun senso se non quello di intimidire. Ma noi timidi non possiamo più esserlo». Il collettivo ha annunciato una mobilitazione il prossimo 22 aprile a Roma per la festa “La fine del mondo” che si svolgerà in piazzale Ostiense. Intanto i legali fanno sapere che stanno pensando ad un «collegio ampio, composto da più avvocati, vista la grande indignazione». Secondo i difensori non si tratta di reati gravi, che sono stati sì «commessi in concorso, ma dal concorso all’associazione a delinquere ce ne passa». L’ufficio ci tiene a sottolineare che i giovani «si stanno mettendo in gioco condizionando la loro vita futura per una causa molto importante che ci riguarda tutti». Alla domanda sulla probabilità che le accuse di associazione a delinquere riescano a reggere ad un eventuale processo il legale ha risposto: «La vedo un po’ una cosa tirata per i capelli, ma Padova ha una lunga tradizione su questo tipo di processi, mi viene in mente il processo del 7 di aprile (l’inchiesta del giudice Calogero su Autonomia Operaia, ndr). Vedremo, per ora non posso dirle altro, ci sono ancora le indagini in corso».
La norma – Per Edoardo Cipani, dottorando in Diritto Privato all’Università degli Studi di Milano, l’associazione a delinquere è contestabile per qualsiasi delitto purché ci siano i tre requisiti per farlo: la stabilità, la finalità e l’organizzazione, anche se rudimentale. «Non so ora se i partecipanti a tali azioni siano più o meno gli stessi, ma credo che il requisito di stabilità sia difficile da rintracciare». Per quanto riguarda il resto invece, Cipani sostiene che il giudice può perseguire gli indagati perché le norme sui crimini contro il patrimonio artistico-culturale si sono fatte più stringenti soprattutto negli ultimi anni. «È difficile che le azioni degli attivisti possano rientrare nell’esercizio di un diritto costituzionale come quello di critica, asseribile all’art. 21 perché non si può manifestare il pensiero imbrattando un monumento».