L’Italia è sempre meno universitaria. Secondo i dati forniti dai professori del Consiglio universitario nazionale (Cun), organo consultivo del Ministero dell’istruzione, negli ultimi 10 anni si sono iscritti 58mila ragazzi in meno. Per dare l’idea, è come aver eliminato dal computo gli studenti della Statale di Milano. Dall’anno accademico 2003-2004 al 2011-2012 si è passati da 338.482 immatricolazioni a 280.144, segnando un bel (o brutto) -17 per cento. I motivi possono essere diversi.

Un’inchiesta di Repubblica, pubblicata il 29 gennaio, parla di difficoltà per le nuove leve nel pagare la retta. Si cita il professor Ernesto Toma dell’Università di Bari, delegato del Rettore per le elaborazioni statistiche: “A causa della crisi aumenta, sia pure di poco rispetto all’anno scorso, il numero di quanti si iscrivono on-line ma poi non perfezionano l’iscrizione in segreteria”.

Secondo il rapporto fornito a dicembre da Censis, il calo “non dipende né da fattori demografici, né da un minore grado di scolarità superiore (nell’ultimo quinquennio il numero di diplomati aumenta anzi da 449.693 a 459.678: +2,2%)”. Alcuni, in proposito, ipotizzano la diffusione del sentire che “il pezzo di carta”, ossia la laurea, non sia poi così fondamentale per trovare un lavoro. Italia Oggi il 14 giugno aggiunge anche l’abbassamento dell’età del diploma, che passa da 27 a 25 anni (24 primo livello; 25 specialistica; 26 specialistica a ciclo unico), abbassando la permanenza nelle aule.

Secondo il rapporto del Cun, la riduzione ha coinvolto anche i professori, lasciandone a casa 12 su cento dal 2006 all’anno scorso. Anche in questo caso le spiegazioni potrebbero essere diverse. Sicuramente sui numeri potrebbe aver inciso il calo dei finanziamenti. Il Fondo di finanziamento ordinario erogato dallo Stato, calcolato in termini reali aggiustati sull’inflazione, è rimasto quasi stabile dal 2001sino al 2009. Poi ha cominciato a “dimagrire” di anno in anno del 5%, e per il 2013 raggiungerà il -20%. La conclusione del Cun è allarmante: “Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università, a rischio di dissesto non possono programmare la didattica né le capacità di ricerca”.

Eva Alberti