Dall’università al lavoro, il viaggio è spesso senza ritorno: ogni anno dal Sud partono 134mila studenti e 36mila laureati. Direzione: Nord Italia. Lo dicono i dati del report dell’istituto di ricerca socio-economica italiano Censis e di Confcooperative «Sud, la grande fuga». La cifra è una ferita aperta. L’ultimo studio stima una perdita di oltre 4 miliardi di euro l’anno per le regioni meridionali. Soldi, capitale umano, potenzialità: tutto svanisce su treni e aerei. Solo per la formazione di un laureato il Sud investe mediamente 112mila euro tra risorse pubbliche e familiari. Quando quel giovane prende la valigia, ciò che ha imparato diventa ricchezza altrove. Nel 2024, in 13mila sono volati all’estero, mentre 23mila hanno trovato lavoro nel resto d’Italia. Per le università meridionali, la risalita è ancora più difficile: perdono competitività e si vedono private di una linfa insostituibile per la crescita culturale e sociale.

Le destinazioni – Roma è capofila (quota 25% dei trasferimenti), seguita da Milano, Torino, Bologna, Pisa. Qui gli atenei costano di più, ma attirano con corsi, opportunità di ricerca, offerte di lavoro. Solo le rette universitarie garantiscono agli atenei settentrionali 277 milioni annui in più – a fronte di 157 milioni sottratti al Sud, tra calo delle iscrizioni e minore competitività. Per le famiglie del Mezzogiorno, studiare «fuori» significa anche un esborso aggiuntivo di 120 milioni l’anno tra tasse universitarie e costo della vita.

Non c’è compensazione – I giovani che fanno il percorso inverso sono pochi: appena 10mila studenti dal Nord scelgono, ogni anno, di iscriversi in un ateneo del Sud. Il focus mette in evidenza che il Mezzogiorno ha potenzialmente asset ed energie a disposizione. Bisogna però preservare i fattori di sviluppo e puntare su una formazione avanzata e strategica. Ad esempio, i laureati in discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) nel Meridione rappresentano appena il 22,4% del totale nazionale: «Si delinea così un sistema universitario che forma meno laureati, e li forma anche in ambiti meno strategici per lo sviluppo e con minori opportunità di apertura internazionale, consolidando un gap che si potrebbe tradurre in minore competitività del territorio», si legge nel report.

La speranza – Nonostante i dati preoccupanti, nel Sud del Paese ci sono ancora atenei che riescono a reggere il confronto con il Nord: secondo il report di Censis del 2025, l’Università della Calabria rimane stabilmente al primo posto tra i grandi atenei statali (da 20.000 a 40.000 iscritti), consolida il primato per i servizi e conquista il gradino più alto del podio anche per le borse di studio offerte ai propri studenti.
L’Università di Palermo e la Federico II di Napoli, si posizionano nelle prime dieci posizioni fra i mega atenei statali (con più di 40.000 iscritti). Inoltre, sono considerate dall’Osservatorio Economia «Università Super Attrattive», ovvero atenei con il numero di iscritti in crescita da almeno 4 anni. Le università citate emergono per digitalizzazione dei servizi, borse di studio, progetti di internazionalizzazione e investimenti in infrastrutture.