«Le ho solo tirato i capelli!», «Al massimo l’ho strattonata!». Esordiscono così alcuni degli anonimi autori di violenze sulle donne all’interno di una chat, nata da un’iniziativa dell’Associazione Studiodonne Onlus. L’esperimento verrà presentato al convegno “Se la riconosci la eviti: strumenti per le donne e cura per l’uomo contro la violenza”, il 25 Novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Il progetto – «L’idea è nata dalla difficoltà di trovare soluzioni per fermare questi uomini violenti», spiega Maria Luisa Missiaggia, avvocato matrimonialista di Roma e fondatrice dell’Associazione Studiodonne. «Nonostante l’inasprimento della pena e l’azione dei centri antiviolenza, i femminicidi continuano ad aumentare e le donne a non essere adeguatamente protette; così mi sono ispirata ad altri Paesi europei, come il Regno Unito –  dove esiste una concreta rete di sostegno tra associazioni pubbliche e private, giustizia, ospedali e altri enti – per creare un sistema di supporto efficace rivolto ai responsabili e alle vittime di violenze, nonché ai loro familiari», continua Missiaggia.

La chat – Dal sito studiodonneonlus.com, chi ha maltrattato la propria compagna può accedere alla chat anonima per raccontare la sua storia ed essere indirizzato verso un percorso di recupero per uomini violenti. L’anonimato in chat favorisce l’uscita allo scoperto della persona aggressiva e ne tutela la privacy, poiché «è per vergogna che questa non ammette la colpa», sostiene Missiaggia. Il processo di riabilitazione a cui vengono avviati gli autori di aggressioni fisiche segue il metodo “dei 12 passi”, nato in America e basato su due principi fondamentali: la consapevolezza e la ricostruzione della personalità. «Il primo passo è la presa di coscienza che una vita con violenza è ingestibile e che bisogna allontanarsene, sia da autori che da vittime», afferma l’avvocato. All’ammissione, segue l’azione vera, che consiste in una graduale «riedificazione della persona, sul piano spirituale e psicologico. Le persone si riuniscono in un gruppo e, attraverso le testimonianze di chi vive il loro stesso problema, riescono a prenderne consapevolezza e a intraprendere un percorso comportamentale adeguato», chiarisce Missiaggia.

La costanza – L’aggancio iniziale non è facile: c’è molta vergogna da parte di chi ha commesso il reato e non va sottovalutata la sua tendenza a recidivare. «L’uomo violento va curato, non bastano 12 o 13 anni di carcere con il rischio che i permessi premio diventino un pretesto per esporre nuovamente le donne al pericolo», sostiene la fondatrice di Studiodonne. Per questo, il terzo fattore fondamentale del metodo “dei 12 passi” è la costanza. Dopo il primo incontro, bisogna esortare l’uomo violento a proseguire il percorso: per imparare a controllare, gestire e superare queste malattie il programma non può limitarsi a qualche occasione di confronto, ma deve accompagnare le persone nel corso della vita».