Alla fine il Muro crollò. Ma passò poco tempo affinché crollasse anche l’utopia successiva, quella di un mondo aperto, senza steccati. Se il Muro di Berlino è un simbolo del passato, non lo è invece l’idea del muro di separazione, del confine da rimarcare nettamente. Nel 1989 si contavano 15 muri in tutto il mondo, mentre oggi la cifra sfiora gli 80. Per la geografa Elisabeth Vallet sono 77, un numero che lo scorso gennaio ha rilanciato su Twitter il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, rivendicando così il suo proposito di iniziare, o meglio, proseguire la costruzione del muro tra gli Stati Uniti e il Messico per fermare il flusso di migranti. Se il Muro di Berlino serviva come delimitazione quasi necessaria tra due mondi opposti e inconciliabili, capitalismo e comunismo, sembra paradossale che il numero delle barriere si sia quintuplicato in epoca di globalizzazione. Ma il timore del diverso resta forte, soprattutto quando è più vicino.

I muri americani – La creazione di un muro di confine tra Usa e Messico è stato l’argomento principale della vincente campagna elettorale di Trump nel 2016. Il presidente americano però non aspira(va) a creare un’opera ex novo, ma a completarne una già esistente, avviata nel 1990 da Bush Senior e poi proseguita da Bill Clinton, suo figlio George Bush Junior e Barack Obama. L’attuale recinzione è lunga 1120 chilometri e Trump vorrebbe prolungarla per gli oltre 3200 rimanenti. Le elezioni di midterm dello scorso anno, con il Congresso diventato a maggioranza democratica, hanno però rallentato i suoi piani. E se gli Usa si proteggono dal Messico, quest’ultimo fa lo stesso nei confronti del Guatemala con il muro Hidalgo. Non una barriera continua, ma diverse aree di recinzione in prossimità dei valichi ufficiali e delle zone più popolate.

La situazione dei confini murati israeliani

I muri di Israele – Una terra promessa difesa muro dopo muro. Israele ha costruito barriere lungo ogni confine: con la Cisgiordania a est, con il Libano a nord, con la Siria sulle alture del Golan, con Gaza a ovest, con l’Egitto e la Giordania a sud. Sebbene non tutti i chilometri di frontiera siano stati marcati, alcune separazioni hanno assunto un significato iconico. Come quella con la Cisgiordania, il confine più noto e discusso. Giustificata da Israele come necessaria misura anti-terrorismo in seguito alla seconda Intifada del 2002, è invece indicata dai palestinesi come muro “dell’Apartheid” o “della vergogna”. Come per la Cisgiordania, anche l’intero confine con l’Egitto è stato delimitato nel 2010 da una barriera per respingere le numerose migrazioni provenienti da Paesi africani quali il Sudan e l’Eritrea. Tuttavia l’Asia non ha solo in Israele le sue frontiere di tensione ed è il continente con più muri tra Paesi tradizionalmente ostili come, per esempio, Cina e Hong Kong, India e Pakistan, le due Coree o Iraq e Kuwait.

Muri di sabbia – Sfruttare le risorse del territorio. È quello che fa il Marocco con il Berm, muro di confine in sabbia e pietra lungo il Sahara occidentale per difendersi dal Fronte Polisario, un’organizzazione militante e politica che si batte per la propria autodeterminazione. La struttura, disseminata di migliaia di mine antiuomo, si estende per 2750 chilometri, una lunghezza inferiore alla sola Grande Muraglia cinese. Un’altra barriera del continente è quella elettrica costruita dal Botswana al confine con lo Zimbabwe, ufficialmente innalzata per impedire la diffusione dell’Afta Epizootica, un virus che colpisce gli animali selvatici.

Il muro del “Berm”

Muri europei – Molti di quegli Stati europei che nel 1989 ebbero un ruolo cruciale nell’abbattimento del confine tra occidente ed oriente sono tornati al punto di partenza, trincerandosi dietro barriere e recinzioni di filo spinato. Come quella che la Bulgaria ha costruito dal 2013 al 2017 al confine con la Turchia per proteggersi dall’aumento dell’immigrazione mediorientale, intensificatasi dopo la guerra civile siriana. Per la stessa ragione un altro muro è stato alzato tra Grecia e Turchia. Negli ultimi anni, alcuni Paesi dell’Europa dell’Est hanno costruito barriere al confine con gli Stati dell’ex Jugoslavia per combattere le nuove rotte dell’immigrazione, pronte a risalire da Grecia e Turchia verso Nord attraverso la penisola balcanica. Il caso più noto è il filo spinato che l’Ungheria ha posto tra sé, la Serbia e la Croazia, così come quello tra Austria e Slovenia. Barriere giovani, erette negli ultimi anni e che stanno ridisegnando il mosaico del Vecchio Continente accanto a steccati più storici come quello di Cipro e dell’Irlanda del Nord, risultati di separazioni etniche e religiose. Ma sarebbe sbagliato pensare che l’esigenza di protezione e di respingimento non appartenga anche agli Stati Occidentali. Basti pensare al muro costruito nel 2016 a Calais, in Francia, per impedire ai migranti di arrivare in Gran Bretagna attraverso il tunnel della Manica, o alle barriere di Ceuta e Melilla, città in territorio marocchino ma appartenenti alla Spagna e protette per evitare l’immigrazione clandestina.

Barriera elettrica in Ungheria

I muri sociali – Ma il confine può anche essere stabilito al di là della geografia e non avere connotazioni politiche, ma sociali. In Sudamerica ci sono gli esempi offerti da Perù e Brasile. Nella città di Lima, nel 1985 il quartiere agiato di Pamplona Alto venne separato da un muro di 10 chilometri dall’adiacente baraccopoli di La Molina, zona priva anche di servizi minimi come elettricità e fognature. L’opera fu realizzata da un collegio gesuita, mentre a San Paolo, nel 2016, un muro venne costruito per separare un’autostrada diretta verso la costa atlantica da una vicina favela.