«”Tu sei una pazza” è la prima cosa che mi hanno detto quando ho deciso di aprire un ristorante per far lavorare i detenuti di Bollate». dice Silvia Polleri. Alle sue spalle passano i ragazzi e le ragazze del catering, vassoio-muniti e trafelati. In mezzo alla calca che si infrange addosso al tavolo del buffet Polleri si blocca. Strizza gli occhi. Fissa un ragazzo che serve tramezzini. «Ma come, solo tre? E riempi quel vassoio!». Poi gli sorride. Intorno a lei orbitano professori universitari, giornalisti, ex e attuali operatori del carcere di San Vittore, direttrice compresa. Tutti nell’atrio della Sala Napoleonica dell’Università Statale per l’evento Emergenza carcere tra realtà locale e prospettive europee.

«Ci tenevamo tanto che il catering di oggi fosse affidato ad ABC La Sapienza in tavola», spiega la professoressa di diritto penale Angela Della Bella mentre dà il via alla pausa pranzo dell’evento di lunedì 19 maggio. Una giornata intera per parlare di carceri, dei problemi (che son sempre quelli) e delle iniziative (che conoscono in pochi).

Si parte dagli sportelli di informazione giuridica di San Vittore. Della Bella e l’avvocato Paolo Oddi ne hanno fondato uno due anni fa, ma lo presentano per la prima volta qui. Con questa iniziativa si occupano di crimmigration, «quell’interferenza – spiega Oddi – tra diritto penale e diritto dell’immigrazione». Davanti alla platea Della Bella spiega che per i detenuti migranti l’esperienza carceraria rappresenta un ostacolo più difficile da superare che per gli italiani. Per esempio, per loro è molto complesso poter accedere agli arresti domiciliari perché non hanno i documenti che attestino un alloggio. E allora, oltre allo sportello “Diritti in carcere” della Bocconi, era necessario che ce ne fossero altri con gli studenti di giurisprudenza e con quelli di mediazione linguistica e culturale. Anche perché San Vittore è a corto di mediatori, ma non di detenuti stranieri (due su tre), e a dirlo è anche Elisabetta Palù, direttrice del carcere.

Alcuni ospiti che sono intervenuti durante l’evento

Palù parla al tavolo con la comandante della polizia penitenziaria di San Vittore, Michela Morello e l’agente di rete Agnese Elli. Della Bella aveva raccontato poco prima che il reparto sanitario del carcere le aveva chiesto in prestito i mediatori del loro sportello, che però sono studenti tirocinanti. Ma il problema principale è il sovraffollamento. Duecento per cento. «In alcuni casi ci sono tre detenuti in celle da 9 metri quadrati», aggiunge Palù.

Il garante dei diritti dei detenuti per il comune di Milano Francesco Maisto ricorda che le leggi ci sono, che ci sarebbe anche la possibilità di fare un indulto, «ma la maggioranza di governo non lo vuole fare». «Dicono che sarebbe antieducativo. Però non è più antieducativo far vivere delle persone in una situazione di brutalità? Le persone che escono appena espiate, senza una misura alternativa, escono più inferocite di prima». Prendiamo il carcere di Bollate. Oggi ne parliamo per il suicidio di Emanuele De Maria, il detenuto che lavorava all’hotel Berna, ma Bollate è un istituto da record proprio per queste iniziative. Mentre in Italia il 70% dei detenuti viene arrestato di nuovo dopo la scarcerazione, «i detenuti di Bollate hanno una recidività bassissima (7%, ndr), ma questo per il fatto che si procede progressivamente con degli assaggi di libertà». Che sia scrivere per il giornale Carte Bollate o lavorare nel catering fondato da Silvia Polleri, che hanno chiamato “pazza”, ma da cui arriva anche un signore giacca e cravatta. Si presenta, ex detenuto che aveva lavorato nel ristorante dentro a Bollate, «mentre ero lì non ci siamo mai incontrati ma mi faceva piacere conoscerla».