Violenza, professioni e lavoro, mercificazione del corpo femminile. Questi i temi di “Gli stereotipi di genere. Dalla società al giornalismo andata e ritorno”, la rassegna stampa tenuta al Master in Giornalismo da Camilla Gaiaschi e Maria Teresa Manuelli del coordinamento lombardo di Giornaliste unite libere autonome (Gi.u.li.a.), rete attenta alla rappresentazione delle donne nel mondo dell’informazione.
L’incontro con i trenta allievi della Scuola Walter Tobagi è cominciato dalle cifre. Le donne assassinate in Italia dal 1° gennaio di quest’anno fino al 25 novembre sono 113, e nel 65 per cento dei casi il colpevole è un uomo con cui avevano o avevano avuto una relazione.
Ma la rappresentazione mediatica di questi fatti ricorre spesso a «frame culturali» che in sostanza minimizzano il fenomeno. Nell’analisi di una serie di articoli recenti de Il Giorno, Il Foglio, repubblica.it e corriere.it, uno dei problemi sottolineati da Gaiaschi è proprio «l’inserimento di movente e giustificazione in un rapporto di causa-effetto», in particolare l’uso di formule come Deluso per la separazione, l’ha uccisa nel caso di un marito che aveva accoltellato la moglie.
«Alcune dritte per la scrittura dei pezzi – ha suggerito la giornalista ai futuri colleghi – sono dire sempre che si tratta di violenza di genere, riflettere sui moventi, evitare stereotipi come il raptus di follia, non equiparare la vittima al carnefice, ricordare le molestie subite in precedenza dalla vittima e concludere con numeri di telefono o informazioni utili per le lettrici».
Ma gli stereotipi culturali che si riflettono nella scrittura giornalistica sono anche nella lingua stessa, come ha dimostrato l’invito di Gaiaschi ad alzarsi “tutti in piedi” (al quale tutti gli allievi si sono alzati) o “tutte in piedi”. Se in Germania esiste un plurale neutro, in Italia «se una professione nasce uomo, il corrispettivo femminile si trova con difficoltà», ha spiegato collaboratrice del settimanale D di Repubblica.
Per i media del nostro paese le donne rappresentano il 66 per cento delle opinioni popolari e il 10 per cento degli esperti. Un dato parallelo? Secondo una ricerca sulle copertine nei periodici citata in chiusura dalla giornalista, «l’Italia è quella con più nudi di tutti». Di donne, naturalmente.
Lucia Maffei