«Martire»: questa è la parola usata dalla madre di Nadia De Munari per descrivere la figlia, la missionaria laica di Schio (Vicenza) aggredita in Perù la settimana scorsa e morta il 25 aprile. Nadia, 50 anni, era stata ritrovata in fin di vita nella stanza della casa famiglia “Mamma Mia” di Chimbote nella mattina del 21 aprile. Secondo una prima ricostruzione dei fatti la missionaria, impegnata in America Latina da 25 anni, è stata aggredita nella sua camera verso l’una di notte di martedì. A nulla è servita la corsa all’ospedale di Lima.
L’aggressione – Il centro “Mamma Mia” è un punto di riferimento per i poveri di Nuevo Chimbote, 400 chilometri a sud di Lima. Oltre a una mensa che ogni giorno sfama più di mille persone, qui ci sono gli asili dove 500 ragazzi delle favelas ricevono un’istruzione che altrimenti gli sarebbe preclusa. Gli orari dei volontari sono rigidi: alle 21.30 ci si ritira, alle 6.30 c’è la sveglia, poi la preghiera prima di iniziare a lavorare. Mercoledì mattina Nadia, che è la responsabile del centro, non scende. Gli altri volontari si insospettiscono e la trovano agonizzante, ma viva.
Ha una frattura al braccio destro e delle ferite alla testa. Mentre la trasportano all’ospedale di Chimbote è cosciente e riesce, pare, a rispondere ad alcune domande. Nel trasferimento verso la capitale peggiora. Quando arriva a Lima ci sono difficoltà a trovare un posto letto per via del Covid.
Vendetta o rapina – Gli inquirenti, arrivati dalla capitale il 24 aprile, hanno davanti pochissimi elementi. Sembra che un’altra volontaria sia stata aggredita quella notte all’interno del centro, ma per il personale di “Mamma Mia” il fatto non sarebbe da collegarsi all’omicidio di Nadia. Per padre Raffaele, il responsabile religioso della struttura che in questi giorni sta parlando con la stampa, si tratta probabilmente di una vendetta personale. Il telefono di Nadia è sparito, ma i soldi e tutti i suoi oggetti sono rimasti in camera: uno scenario che si sposa poco con l’ipotesi di rapina, anche se la pista rimane aperta . Al vaglio degli investigatori le testimonianze dei cinque volontari presenti nella casa di accoglienza.
Armi del delitto – Come sottolinea il giornale locale Diario de Chimbote, il Luminol – un reagente usato per individuare le tracce di sangue anche quando viene lavato – ha dato risultati positivi in diversi punti della casa. Soprattutto, tracce di sangue sono state trovate anche su una fune di ferro, che probabilmente era stata lasciata nella struttura dopo alcuni lavori di ristrutturazione. Un’arma del delitto coerente con il primo referto dell’ospedale regionale di Chimbote, che riportava fratture e traumi da arma contundente. Non è escluso che siano state usate anche armi da taglio, che combacerebbero con le descrizioni del corpo di Nadia fornite da alcuni testimoni.
Una vita di volontariato – Nadia de Munari era in Perù dal 1995, dove partecipava al progetto Mato Grosso, che si occupa di sostegno alle popolazioni povere dell’America Latina ed è responsabile di più di 80 missioni nel continente, che spaziano da programmi di educazione alla formazione professionale. Gli animatori dei progetti sono tutti volontari a titolo gratuito in alcune delle zone più pericolose del Sud America. Come riporta il Fatto, nl 1992 Giulio Rocca, un altro volontario, fu rapito e ucciso da terroristi. Cinque anni dopo fu la volta di padre Daniele Badiali, che perse la vita durante un tentativo di rapina.
L’aprile nero di Schio – Il 25 aprile a Schio si è tenuta una messa a suffragio della volontaria. Don Gaetano, parroco della cittadina, ha ricordato con commozione all’Adnkronos la volontaria scomparsa: «ha donato la sua vita, ci ha messo il sangue». La notizia della morte arriva il giorno di prima di un altro fatto di sangue che riguarda la città: Christian Carlassare, vescovo originario di Schio, è stato coinvolto in un agguato in Sud Sudan e raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco – anche se al momento non è in pericolo di vita.
Foto in evidenza: ANSA