L’utopia del “sogno americano” è passata anche dalla California dei Beach Boys. E mentre, negli ultimi giorni, a Los Angeles va in scena tutto ciò che contraddice i principi della “promised land”, anche l’ultimo residuo di un’America dimenticata se n’è andato. Brian Wilson, fondatore e leader del gruppo, è scomparso mercoledì 11 giugno a 82 anni. Sperimentatore di melodie, Wilson è stato considerato dai critici un unicum nella storia della musica: uno dei pochi a essere definito “geniale” anche dai suoi rivali, uno dei pochi ad avere avuto il coraggio e la bravura di confrontarsi con i Beatles. Negli anni Sessanta, ai brani della coppia Lennon e Mccartney, oltre oceano ha risposto il surf rock dei fratelli Wilson: non solo musiche diverse ma anche storie e immagini che dipingevano due mondi opposti. Fino a quando, con Sgt. Pepper’s, i Fab Four hanno calato l’asso nella manica e i Beach Boys non hanno saputo reggere l’urto di un album che segnava l’inizio della loro fine e l’insorgere dei demoni con cui Wilson ha convissuto tutta la vita.
Gli inizi e il successo con i Beach Boys – Come l’estate che ha cantato, Wilson è nato il 20 giugno 1942 in California. Insieme ai fratelli, ha dovuto fronteggiare la figura autoritaria del padre, prima solo genitore poi anche imprenditore di Beach Boys, che fin dai primi anni della sua infanzia ha celebrato la propensione artistica del figlio. Nel 1961 Wilson ha formato i Pendletones ma la loro esistenza è stata breve: è stata l’etichetta musicale a cambiare nome in Beach Boys, all’insaputa del gruppo stesso. Dietro ogni melodia del gruppo, c’è stata l’intuizione di Wilson: la capacità di creare armonie sofisticate e innovative come dimostrano “Surfin’ Usa”, “California girls” e “Barbara Ann”.
Il 1966 è l’anno delle buone vibrazioni, perché con “Good vibrations” Wilson ha alzato l’asticella: canzone spensierata e felice come tutto il repertorio dei Beach Boys, ma frutto di un arrangiamento che farà da scuola ai Beatles stessi e a tanti altri dopo di loro. L’assemblaggio di armonie di “Good vibrations” ha conquistato i fan, tanto da arrivare in cima alle classifiche anche inglesi. È stato l’ultimo sorprendente successo del gruppo: dopo l’uscita di Sgt. Pepper’s, i Beach Boys hanno cominciato a lavorare su Smile, immaginato come risposta ambiziosa al capolavoro dei Beatles. Smile invece è destinato a diventare un progetto fantasma, vittima delle inquietudini di Wilson e tralasciato fino ad essere pubblicato quarant’anni dopo.
La depressione – Dietro la musica da spiaggia, le decappottabili e “The warmth of the sun”, si nascondeva ben altro. Le onde delle spiagge californiane non sono bastati a placare i demoni di Wilson che ha cercato di allontanare con le dipendenze: l’alcol e le droghe, tra cui cocaina ed eroina, lo hanno portato a rinchiudersi in casa per tre anni, durante i quali gli eccessi coinvolgono anche il cibo. È aumentato di peso, ha passato i giorni leggendo riviste e lavorando sempre meno alla musica. Per risollevare le sue sorti e quelle del gruppo, la famiglia lo ha affidato alle cure di un terapeuta psichiatrico, il controverso Dottor Landy che si rivelerà dedito più ai suoi scopi che alla sanità mentale di Wilson. Da parte sua il cantante si è legato al dottore, sviluppando una dipendenza anche nei suoi confronti fino a che Landy non viene smascherato. Per la serenità di Wilson però non c’è stato nulla da fare e fino alla morte la depressione si è alternata al lavoro in studio.
I numeri hanno confermato l’eccezionalità dei Beach Boys e le loro canzoni, ascoltate oggi come allora, dimostrano la contemporaneità di quelle melodie. Anche se, dietro la ricerca dell’armonia perfetta, Wilson ha nascosto disagi e angosce profonde così come, oltre il modello patinato del Golden State, è emersa l’immagine di un’America diversa.