Se n’è andato un attore europeo. Non svizzero, non tedesco, non italiano. Europeo, perchè così si definiva Bruno Ganz. Italo svizzero cresciuto in Germania e con una passione per Venezia. Un uomo robusto, di grande presenza scenica e fisica, viso buono e sensibilità da film d’essay anche se da ragazzo si ritrovava a fare a cazzotti con i suoi compagni di classe: «Con l’età sono diventato più pacifico», dichiarò in un’intervista. Un angelo, Hitler e il nonno di Heidi sono personaggi molto diversi che in Ganz hanno comunque trovato un’interprete magistrale. Se ne è andato sabato 16 febbraio all’alba ucciso da un cancro intestinale che gli era stato diagnosticato lo scorso luglio. Aveva 77 anni. Nel ricordo del Der Spiegel  Ganz «era il grande sogno di qualcosa di triste – e meravigliosamente bello».

L’inizio della carriera – Non ha mai smesso di fare ciò che amava di più: recitare. Solo la malattia lo ha costretto a rinunciare all’interpretazione del Flauto magico di Mozart in scena al Festival di Salisburgo lo scorso agosto. La sua carriera cinematografica è iniziata a 19 anni con una commedia mai trasmessa in italia: Der Herr mit der schwarzer Melonen. Il trasferimento a Berlino e l’interesse per il teatro brechtiano lo portano a fondare una compagnia teatrale ispirata all’autore dell’Opera da tre soldi. Ma il cinema rimane il suo primo amore. Diventa l’attore simbolo della Junger Deutscher Film – la Nouvelle Vague tedesca – attirando l’attenzione del regista Wim Wenders che gli assegnerà la parte del corniciaio ne L’Amico Americano (1977) mentre Werner Herzog l’anno successivo lo vuole vampiro in Nosferatu, il principe della notte. Il cielo sopra Berlino di Wenders sarà il trampolino per gli schermi internazionali che nel 1987 gli cucirà addosso la parte dell’angelo Damiel, che teneramente ascolta i pensieri delle persone in una Berlino occidentale post nazista. Probabilmente uno tra film per cui è più ricordato: anni dopo Ganz ancora raccontava con un sorriso di quando, mentre passeggiava per Berlino, fu fermato da alcune signore con i bambini in carrozzina che, in ginocchio, gli chiesero di benedire i loro pargoli.

In Italia – La sua carriera si intrecciò più volte con l’Italia anche grazie al suo bilinguismo (la madre era italiana). Prima con Oggetti Smarriti di Giuseppe Bertolucci (1980) a fianco di Mariangela Melato in una storia lunga 24 ore ambientata dentro la Stazione Centrale di Milano, poi con La vera storia della Signora delle Camelie di Bruno Bolognini (1981). La sua interpretazione in Pane e Tulipani (di Silvio Soldini – 2000), gli valse un David di Donatello e un grande amore per Venezia, che lo convinse a comprare un appartamento nella città dei dogi. In più occasioni Ganz raccontò di come veniva fermato per i vicoli dalle signore della città, che gli chiedevano di candidarsi come sindaco di Venezia.

I ruoli difficili – Una superstar internazionale sempre discreta che è apparsa in galassie cinematografiche molto distanti. Con La caduta, film del 2004 di Oliver Hirschbiegel – sugli ultimi giorni di Hitler nel bunker prima del suicidio – ha confermato la sua innata predisposizione all’arte del farsi qualcun altro, senza fingere. La performance gli valse una nomination al Premio del cinema europeo e, interrogato sulla difficoltà di interpretare o giudicare un personaggio storico di tale calibro, Ganz rispose a Vanity Fair in un’intervista pubblicata il 24 gennaio 2018: «Quando si tratta di salvare noi stessi siamo capaci di azioni orribili». «Anche nei ruoli più cattivi, Bruno Ganz e i suoi personaggi brillavano sempre di umanità. Era eterogeneo e quindi sconvolgente. Non ha recitato i suoi ruoli, li ha vissuti»: sono le parole dell’ex consigliere federale svizzero Alain Berset pubblicate su Twitter, alla notizia della morte dell’attore. La sua vita non è stata solo fatta successi, è di qualche anno fa la dichiarazione dell’attore sulla sua lotta contro l’alcolismo. Un demone che ha dovuto combattere per più di dieci anni e che ha sconfitto solo dopo aver rischiato la morte, in un pericoloso incidente d’auto. L’attore non ha mai capito quale fosse la causa della sua dipendenza, iniziata da giovane e poi diventata un’abitudine, così come non è mai riuscito a capire per quale motivo suo figlio Daniel, oggi musicista a Lubiana, sia diventato cieco a 4 anni.

Domani e oggi – Nel film di Theo Angelopoulos del 1998, L’eternità è un giorno ha interpretato un malato terminale che non voleva andare in ospedale: «Non ci vado in ospedale, non ci vado – diceva nel film-. Voglio fare dei progetti per domani, lo sconosciuto mi risponderà con la stessa musica, e troverò sempre qualcuno che mi venderà delle parole. Domani, cos’è il domani Anna? Una volta ti avevo chiesto quanto dura il domani, e tu mi hai risposto: un’eternità è un giorno». Bruno Ganz non credeva nell’aldilà o nella vita dopo la morte. «Con il suo modo di cercare la verità, Bruno Ganz ha realizzato un sacco di arte intelligente, commovente, a volte straziante», ha scritto il Der Spiegel nell’articolo già citato. Mai rumoroso, ci ha lasciato con un’ultima intensa interpretazione in La casa di Jack di Lars Von Trier – in uscita in Italia il 28 febbraio. Ganz è Virgilio, il confidente di un serial killer psicopatico, a fianco di Uma Thurman e Matt Dillon. Il ministro degli esteri federale Heiko Maas (Spd) ha reso omaggio al defunto attore come uno dei «più importanti del nostro tempo», mentre la cerimonia finale della Berlinale di sabato 16 febbraio si è aperta con un omaggio al grande artista.