«Ricercatore nell’arte e nella vita». Così amava definirsi Filippo Panseca, morto nella notte tra il 24 e il 25 novembre nella sua casa di Pantelleria, colpito da un infarto a 84 anni. Con lui, il Partito Socialista Italiano tra gli anni Settanta e Ottanta compì la prima operazione di branding della politica italiana: Panseca firmò il logo col garofano rosso e le clamorose scenografie dei congressi del partito guidato da Bettino Craxi. Con il suo estro l’artista palermitano contribuì al processo di estetizzazione della politica, in perfetta sintonia con gli eccessi degli anni Ottanta e anticipando di più d’un decennio le esuberanze berlusconiane. Ma a Panseca, eclettico innovatore, l’etichetta di scenografo stava stretta tanto quanto quella di designer. Fu tra i pionieri della videoarte che nel 1971 parteciparono a una delle prime rassegne italiane, Videobelisco, e vent’anni dopo fondò la prima cattedra italiana di Computer art all’Accademia delle Belle Arti di Brera.

Gli anni col Psi – È infatti l’interesse per i nuovi mondi tecnologici e comunicativi uno degli aspetti centrali dell’opera di Panseca. Anche nel 1989, quando il «faraone» Craxi sventolava un mazzo di garofani rossi dalla piramide del 45esimo congresso di partito, all’Ansaldo di Milano, dietro di lui campeggiava un enorme schermo led triangolare per trasmettere le immagini delle telecamere. Due anni prima, al congresso di Rimini, sul frontone del tempio neoclassico largo oltre 25 metri scorreva una scritta di led rossi, una tecnologia che da pochi anni si stava aprendo alle prime applicazioni pratiche. Il lavoro per il Psi era indirizzato all’innovazione sia dell’estetica politica che dei linguaggi dell’arte: bisognava dialogare con i codici televisivi e con le enormi platee che la politica riusciva a muovere (a Rimini si contarono 1.100 delegati e 800 giornalisti). Un’esigenza che Craxi intercettò nel suo primo anno da leader, alla vigilia del congresso di Torino del 1978, quando chiese un nuovo logo per a quell’artista siciliano conosciuto anni prima alla trattoria “L’angolo” di Milano. Nacque allora il garofano rosso, lo stesso fiore di cui Panseca eresse una scultura di 15 metri sul monte Pellegrino in occasione del congresso di Palermo dell’81. «Il suo eclettismo ha saputo unire il gesto d’artista all’impegno civile», così l’ha omaggiato Bobo Craxi, il figlio del leder socialista, dopo la scomparsa.

Tra critica e innovazione – Impegno civile che Panseca ha sempre declinato lungo i percorsi tracciati dal mutamento delle forme di comunicazione e dalla tutela dell’ambiente. Panseca lanciò nel 1970 l’arte biodegradabile, critica agli sprechi dell’industria culturale e al crescente materialismo della società con opere destinate a scomparire nel tempo. Una riflessione culminata nel 2015 con la sua ultima esposizione di “installazioni biodinamiche e fotocatalitiche”, presentata presso la Galleria Adalberto Catanzaro di Bagheria: sculture che, azionate dalla luce del sole, fungono da depuratori d’aria. Sperimentò con tutte le innovazioni tecnologiche del ‘900, creando un’arte che il critico Valentino Catricalà nel 2015 ha definito «uno spazio-tempo essenza fragile della nostra epoca». Una ricerca durata una vita, che Panseca nel 2010 al Corriere della Sera riassunse in una frase: «Conta il ricordo delle cose, non la loro materia».