«Jean Daniel, giornalista e scrittore francese». Così avrebbe voluto il suo epitaffio. Semplice e asciutto. Lui che negli anni ha scritto tanto, tra pagine di libri e giornali (suoi e non).
È morto ieri sera il fondatore di Le Nouvel Observateur, che nei suoi 99 anni di vita ha osservato quasi un secolo di storia. A partire dagli anni Venti e dall’epoca di una Francia colonialista. Jean Daniel nacque nel 1920 in quella che sarebbe diventata la colonia di Parigi più discussa del Novecento: l’Algeria. Figlio di un mugnaio ebreo, partecipò alla guerra di liberazione combattendo in Normandia, Parigi e Alsazia. Il luogo che lo accolse dopo la guerra racconta tutta la sua vita successiva. Dalla Sorbona, dove studiò filosofia, non è difficile ricostruire i fili che lo legarono in amicizia ad Albert Camus, a Jean-Paul Sartre e alla Francia dei circoli intellettuali.
Né è difficile ritrovare le radici del suo giornalismo che prese il via con la rivista culturale Caliban nel 1947. Prima opera di fondazione a cui, nel 1964, sarebbe seguita quella del Le Nouvel Observateur.

Da inviato a direttore – Le Nouvel Observateur arriva dopo diciassette anni di lavoro sul campo e diventa un’unione delle sue anime: cultura e impegno civile. La rivista settimanale che sarebbe diventata tra le più lette di Francia, fu punto di riferimento per la sinistra del Paese in tutte le lotte sociali che riempiranno le pagine in quegli anni: dalla legalizzazione dell’aborto ai diritti per gli omosessuali e alle campagne antirazzismo.
Dagli anni ’50 Daniel aveva iniziato a scrivere per L’express, e in quel lavoro cronachistico l’ispirazione culturale degli studi universitari si era arricchita della materia prima della storia: le interviste e gli incontri con i grandi protagonisti degli eventi internazionali, da Kennedy a Castro e Mitterand.

La missione a Cuba – Il New York Times ricorda un episodio di cui lui non fece solo la cronaca. Nel 1963 andò in missione segreta a Cuba per riportare una proposta di Kennedy a Fidel Castro. Era stato Benjamin C. Bradlee, il direttore del Washington Post durante lo scandalo Watergate, a suggerire a Kennedy il suo amico Daniel. Il giornalista e il presidente cubano si trovavano insieme all’Havana il giorno in cui arrivò la notizia dell’assassinio del presidente americano. Proprio mentre stavano discutendo dell’offerta. Castro, che sembrava pronto a un riavvicinamento tra i due Paesi, disse a Daniel: «Tutto è cambiato. Tutto sta per cambiare».

50 anni di direzione – Mentre il giornalista lavorava e scriveva, stavano davvero cambiando tutti gli scenari storici: lui che era nato in Algeria, ci tornò come corrispondente per raccontare la guerra e le sollevazioni degli anni ’50 e ’60. Seguì gli scontri israelo-palestinesi, la Guerra fredda, la Guerra d’Indocina, i movimenti terroristici. I suoi editoriali su Le Nouvel Observateur si opponevano al colonialismo, alle dittature e raccontavano la politica, ma anche la filosofia e la letteratura. Nel 2008 aveva lasciato il suo giornale dopo quasi cinquant’anni alla direzione. Lì rimane sua figlia Sara Daniel, che gli sopravvive insieme alla moglie Michèle Bancilhon, con cui ha condiviso oltre mezzo secolo della sua vita.