«Acqua di spilli fitti, dal cielo e dai soffitti» scendeva sommergendo Genova nell’alluvione del 1972. Fabrizio De André la descriveva come Dolcenera nella canzone-capolavoro dell’album “Anime salve”. Acqua completamente assente nella fontana di Piazza San Babila a Milano il 4 luglio 2019. Queste due immagini non avrebbero niente in comune, se non fosse per il flauto traverso di Michela Calabrese, che risuona nel centro di Milano come in Dolcenera, accanto alla voce di Faber.

Michela è un’artista di strada. Il suo istinto vitale, mai pago, l’ha spinta ad attraversare il mondo, a scoprire la musica e a scegliere ogni volta la strada. «È il palcoscenico più vero. Ti restituisce quello che dai. È difficile abbandonarla». Michela con il suo flauto traverso ha animato le piazze e i vicoli di diverse città: «Cagliari, Roma. Poi, dopo la collaborazione con De André, ho deciso di andare a Milano».

Oggi anche il mestiere dell’artista deve adattarsi a logiche che cambiano in continuazione, tra talent show e profili instagram che sono i nuovi custodi del proprio lavoro. Ma c’è un pubblico che nel tempo non è mai cambiato: quello che si ferma ad ascoltare o a guardare per le strade e i marciapiedi. Oggi sono più di 10mila le persone che si esibiscono in strada. Per poter suonare, in ogni città Michela si è dovuta adattare a regole diverse. Fino al 2001 l’esercizio degli artisti di strada era regolamentato attraverso l’iscrizione in appositi albi comunali. Da quando  la normativa nazionale è cambiata, ogni Comune ha la propria procedura.

Milano ha dovuto assecondare una strada costellata dalle arti più diverse. Oltre ai musicisti, per le vie della città puoi incontrare Fabio, acrobata davanti a palazzo Reale, o Kiril che in piazza dei Mercanti intrattiene il pubblico con i giochi di prestigio. E poi statue viventi, pittori, ritrattisti e cartomanti. Dal 2013 sono tutti riuniti in un’unica piattaforma, “Strad@rte”, per volere della giunta Pisapia, che in questo modo ha riorganizzato la gestione degli artisti di strada. Così anche il pubblico, dal telefono o dal pc, può cercare e trovare dove si esibiscono. Un tempo invece gli artisti come Michela passavano dai vigili di piazza Beccaria: ogni mattina venivano sorteggiate le postazione più ambite, in questo modo era il caso a decidere il luogo di Milano in cui sarebbero finiti.

«Prima la mia pittura non era riconosciuta come un’arte di strada. Adesso finalmente c’è un’organizzazione più strutturata», spiega Peppino. Dipinge e vende quadri in centro da una vita. Intano tiene compagnia al suo amico Sabino, non proprio un’artista, che con una birra in mano chiede sempre il telefono per ascoltare su youtube dei classici cittadini come “Milano e Vincenzo” di Alberto Fortis. Da un po’ Peppino si è stabilito in piazza della Scala. Almeno fino a quando qualcuno non prenderà il suo posto. Con “Strad@rte” infatti ogni artista può stare nella stessa postazione per un periodo di tempo limitato. Ma ci sono due categorie. I “mestieranti”, come Peppino, vendono le proprie opere a un prezzo specifico e possono prenotare uno spazio anche per tre mesi, perché questo è il loro lavoro. Le “espressioni artistiche” invece scendono in strada per hobby e per questo motivo possono prenotarsi per un massimo di tre ore. In teoria, non potrebbero vendere niente, ma solo ricevere offerte. «Io sono tassato in quanto lavoratore e infatti pago una quota giornaliera per stare qua dalle 9 alle 24», continua Peppino, «perciò nei miei quadri vedete il prezzo, anche se lo scrivo in piccolo e nell’angolo, perché antiestetico».

Peppino, con la sua produzione artistica in piazza della Scala

Come tutti gli artisti di strada, Peppino si è dovuto iscrivere alla piattaforma ed è entrato in una lista d’attesa prima di vedersi assegnare i suoi due metri quadrati in piazza della Scala. «Punto a piazza del Cannone, però, dove andavo sempre prima. Io che questo mestiere lo faccio da vent’anni non ho vantaggi rispetto a chi è arrivato ieri». Non è l’unico a pensare che l’organizzazione di “Strad@rte” potrebbe essere migliorata, ma non si lamenta («è già qualcosa»).

In altre città, come Firenze e Venezia, esistono graduatorie in cui vengono inseriti gli artisti di strada in base a un punteggio che tiene conto di diversi parametri, tra cui l’esperienza. Anche qui si cerca di regolare un mestiere che esiste dai tempi dell’Impero Romano e che non è mai stato disciplinato adeguatamente. L’anarchia creativa che si scontra con la burocrazia comunale. È così da sempre: la prima legge nei confronti della categoria risale addirittura alle XII tavole nell’antica Roma, 450 avanti Cristo. Anche allora chi si esibiva in strada era visto come un’artista di rango inferiore: gli spettacoli pubblici erano considerati parodie e canti diffamatori ed erano sanzionati con la pena di morte.

Certo, con il tempo le disposizioni si sono alleggerite, ma le difficoltà e i pregiudizi sono rimasti. Scalare le classifiche imposte da alcuni comuni, ad esempio, è difficile. Non tutti riescono a esibirsi, molti lo fanno illegalmente. «Se vogliamo andare a suonare a Venezia, dobbiamo mettere in conto di farlo abusivamente perché tutte le postazioni migliori sono già prese», racconta Samir, che con i suoi cugini forma un quartetto d’archi atipico, tutto di violini. Sono rumeni e suonano insieme da quando Samir ha deciso di avvicinarsi alla musica, tre anni fa. «I miei cugini sono artisti di strada da quando avevano sei anni. Io mi sono aggiunto per ultimo», continua. A vederli suonare, però, sembrerebbe lui quello che detta i tempi agli altri tre. Il suono dei quattro archi, che si adeguano ai ritmi della musica moderna, contagia corso Vittorio Emanuele. Le persone si avvicinano, forse non si aspettano di trovare quattro ragazzi molto giovani che si esibiscono in infradito e pantaloni corti. Samir è l’unico che non porta gli occhiali da sole.

«In media guadagniamo tra i 90 e i 100 euro al giorno a testa. Se siamo fortunati, possiamo arrivare anche a 300 euro durante il weekend», spiega Samir. Per lui e per i suoi cugini, nonostante figurino sulla piattaforma come “espressioni artistiche”, questo è un vero e proprio lavoro. «Non è un semplice hobby», continua, «noi riceviamo solo offerte libere (come da regolamento ndr) ma riusciamo a mantenerci». A breve inizierà un tour con un’altra band in giro per l’Europa. La prima tappa è Venezia, poi forse Londra. Insomma, questa è la sua fonte di reddito, ma non per “Strad@rte e per la burocrazia milanese. Ed è per questo che in tanti si lamentano.
Samir e i suoi cugini non sono le uniche “espressioni” a fare dell’arte di strada il proprio mestiere. Ma sono tra i pochi a non aver bisogno di eludere la regola della libera offerta. Molti imbrogliano e si nascondono dietro la dicitura “prezzo consigliato”, oppure prenotano molte postazioni contemporaneamente levando i posti ad altri.

Un artista di strada a Roma, pieno rappresentante del vero significato di “statua vivente”

Le criticità della piattaforma non riguardano soltanto la mancanza di una graduatoria che valorizzi chi è più qualificato o la facilità con cui le espressioni riescono a violare i regolamenti, ma anche l’assenza di una scrematura tra chi è un vero artista di strada e chi si propone come tale per riuscire a guadagnare qualcosa. Fermo davanti al Dumo c’è Jonas: cerca di imitare una statua vivente con una maschera da orso sul viso. A terra un cartello con scritto: «Ho fame, Jim Hungry» (sic). Effettivamente qualcuno si ferma e lascia una moneta. Di sicuro, però, le persone che trovano Jonas sulla piattaforma e leggono “Statua vivente” si aspettano qualcosa di completamente diverso.

Michela Calabrese riporta il problema al suo ambito, quello musicale: «Molti, pur non sapendo realmente suonare, si fingono musicisti e ripetono l’unica canzone che conoscono per ore. Sottovalutare la musica è orribile. In strada non si deve suonare per velleità economiche ma con il cuore».

Spesso è proprio l’amore per la musica che spinge in strada i più giovani, che cercano semplicemente un palcoscenico. Jasmine e Joel sono due fratelli (con doppia cittadinanza, francese e italiana) di 21 e 20 anni, vivono e studiano a Milano. Quando scendono in strada diventano i Cerveza para todos, lei con la sola voce, lui con la chitarra.
«All’inizio è stata un’esigenza, usavamo la strada per provare, perché è il giudice più severo. Un banco di prova diretto, soprattutto per chi si esibisce con brani propri», racconta Jasmine. Per adesso, per i Cerveza para todos la musica è solo un hobby e la strada è una necessità: «Non ci diamo propositi. Ci esibiamo anche in diversi locali, ma spesso ti sfruttano. Così le piazze rimangono il posto dove andare a cantare per il piacere di farlo. Lo facciamo anche a Nizza, o dove capita: essendo fratelli, non abbiamo praticamente bisogno di provare».

Esibirsi per il piacere di farlo, questo ti dà la strada. Vale ancora per un’artista dello spessore di Michela Calabrese, che si esibisce  al conservatorio, ma anche per teatri o a festival internazionali come l’Umbria Jazz. A Cagliari, sua città natale, ha studiato al conservatorio. A Milano ai Civici corsi di jazz. Chi passa mentre suona in piazza del Duomo non può restarle indifferente, come accadde in Sardegna nel ‘95 a Cristiano de André: «Si avvicinò e mi disse “tu sei un extraterrestre”. Poco tempo dopo mi chiamarono per incidere il disco “Anime salve”, suono in Dolcenera e Le acciughe fanno il pallone. In quest’ultima Fabrizio mi chiese anche di fare un assolo, alla prima registrazione». Michela ora, dopo tanti anni di girovagare, vive in Sardegna, ma ogni tanto torna a Milano per lavorare qualche mese. Una città che ha ancora problemi a gestire la varietà imprevedibile del mondo degli artisti di strada. Una città di immigrazione, interna ed estera, che però è in grado di accogliere l’arte nel suo tessuto urbano e poi di fonderla a se stessa. Quando ha finito il processo di assimilazione, può specchiarsi nelle sue strade per trovare il suo vero volto: «Il pubblico milanese è fantastico. Non è vero che è un élite snob, i milanesi sanno riconoscere la buona musica».