Un film-documentario d’animazione per spiegare l’essenza del mestiere di reporter, attraverso l’esperienza emblematica del giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski. Dal 24 aprile nelle sale italiane è arrivato Ancora un giorno, il racconto di una pagina di storia del XX secolo, tra decolonizzazione e Guerra Freddavincitore del premio come miglior film d’animazione 2018 agli European Film Awards. A Milano, La Sestina ha assistito alla proiezione in anteprima all’Anteo Palazzo del Cinema.

La trama – Cercare una storia o fare la storia. Rinunciare a uno scoop per più nobili ideali. È il 1975 quando Ryszard Kapuscinski, reporter polacco per l’agenzia di stampa nazionale, arriva a Luanda, capitale dell’Angola, nell’immediata vigilia della guerra civile. Con la dissoluzione dell’impero coloniale portoghese, la nazione africana è contesa da tre fazioni in lotta per il potere: il movimento popolare per la liberazione dell’Angola (MPLA), il fronte nazionale di liberazione dell’Angola (FNLA) e l’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola (UNITA).
Dalla capitale angolana il giornalista polacco può osservare solo gli strascichi di una guerra che in realtà si combatte soprattutto nel sud del Paese. Trovare il vero volto del conflitto significa quindi intraprendere un viaggio verso il confine meridionale, dove gli schieramenti della guerriglia angolana diventano le pedine del più grande scacchiere mondiale della Guerra Fredda. Gli Stati Uniti appoggiano indirettamente il raggruppamento anticomunista, composto dall’UNITA e dall’FNLA, sostenendo l’intervento militare del Sudafrica. Sull’altro fronte l’Unione Sovietica decide di sfilarsi dalla guerra: a quel punto solo l’intervento di Cuba può salvare il movimento popolare di ispirazione marxista, l’MPLA, dalla disfatta. Kapuscinski è l’unico giornalista testimone degli eventi nella loro interezza, ma la sua deontologia professionale viene travolta dalla cruda realtà della guerra.

Un docufilm d’animazione – Ancora un giorno è un film d’animazione che sfrutta tutte le potenzialità del mezzo per rendersi ancora più concreto. Immaginando la pellicola in questa veste, il regista Raul de la Fuente riesce ad abbattere la barriera tra azioni e pensieri del protagonista. Il disegno garantisce, con le sue linee di contorno definite, la verosimiglianza dei tratti antropomorfi – tanto che spesso lo spettatore dimentica di avere a che fare con un cartone animato. Allo stesso tempo, consente effetti visivi con i quali gli stati d’animo di Kapuscinski si materializzano nella realtà della guerra da lui vissuta. È così che, come in un incubo, una schiera di cadaveri distesi per chilometri di strada si alza in piedi e comincia a camminare verso il reporter, rendendo tangibile il suo turbamento emotivo. In questo modo l’animazione diventa più autentica di un’interpretazione in carne e ossa.

Non solo, ci troviamo anche di fronte a un vero e proprio docufilm, che si snoda nei luoghi dell’Angola odierna, seguendo in parallelo la narrazione animata degli eventi del ’75. Le interviste a tre testimoni danno voce a un documentario di storia vera, così come narrata nell’omonimo romanzo di Ryszard Kapuscinski: Artur Queiroz e Luis Alberto, colleghi reporter angolani di Kapuscinski, e Farrusco, l’ex comandante portoghese a capo della resistenza dell’MPLA. In live action – cioè passando da personaggi dell’animazione a persone reali nel documentario – i tre accompagnano il viaggio del regista attraverso gli stessi sentieri, strade e città battuti da Kapuscinski.

Il ritratto – Il titolo originale del libro di Kapuscinski, e quindi anche del film di Raul de la Fuente, è Another day of life, e forse spiega qualcosa di più rispetto alla traduzione italiana. «Vogliono tutti essere fotografati, per lasciare una traccia, per restare. Io scriverò, non saranno mai dimenticati», spiegava il reporter, la cui missione è quella di dare un altro giorno di vita alle persone che ha incontrato, ogni volta che qualcuno legge i suoi libri e articoli. Kapuscinski sente la responsabilità di rendere immortale il ricordo di una guerra che, come giornalista, lui solo ha conosciuto fino in fondo e che può raccontare al mondo intero. «Assicurati che non ci dimentichino», gli raccomanda Carlota, la guerrigliera 19enne simbolo della lotta armata dell’MPLA.

Il giornalista polacco non si limiterà a farlo soltanto con la guerra civile d’Angola, ma rinnoverà il suo impegno durante tutta la carriera, raccontando da vicino i drammi di altri Paesi, dell’Africa e del Medioriente. Nello svolgersi degli eventi, i suoi battiti sempre più serrati sui tasti della macchina da scrivere, così simili a quelli di un mitragliatore, rendono Kapuscinski consapevole del fatto che le parole sono più potenti delle armi. E più di queste, possono contribuire a fare la storia.