Dei 54 paesi africani solo 7 hanno padiglioni nazionali alla 57^ Biennale di Venezia. Eppure negli ultimi anni l’arte africana ha vissuto un crescere di interesse di pubblico, critica e collezionisti. La casa d’aste Sotheby’s ha aperto un dipartimento specifico che si occupa dell’arte moderna e contemporanea del continente e che batterà la prima asta il prossimo 16 maggio. Nell’ultimo decennio inoltre, pur tra mille difficoltà, sono diverse le rassegne e fiere di arte contemporanea nate in Africa, tra gli altri il Lagos Photo Festival in Nigeria, fondata nel 2010 e arrivata nella prima edizione a 5000 presenze, la Lumumbashi Biennale in Congo e la Cape Town Art Fair, quest’anno alla quinta edizione. Sempre nella capitale sudafricana, nel 2002 è nato ArtAfrica, un quadrimestrale dedicato alla produzione artistica del continente, e a settembre di quest’anno aprirà lo Zeitz Museum of Contemporary Africa Art, che sarà il più grande museo di arte contemporanea africano. Marco Enrico Giacomelli ha calcolato che, nelle principali kermesse europee svoltesi tra il 2005 e il 2015, dei 1336 artisti coinvolti meno del 6 percento era di origine africana. Lungi dall’invocare quote privilegiate, a stupire è piuttosto il contrasto tra un mercato internazionale in grande fermento e rassegne europee che sembrano ancora poco ricettive delle novità provenienti dal continente.
Il 9 e 10 maggio i maggiori operatori nel campo dell’arte africana contemporanea si sono ritrovati a Venezia all’African Art in Venice Forum, in concomitanza con l’inaugurazione della Biennale, per interrogarsi sulle ragioni di questa sottorappresentazione e cercare soluzioni comuni. Dalla due giorni di panels e dibattiti, tenuti da più di sessanta relatori, tra curatori dei musei di tutto il mondo, collezionisti, artisti e venditori d’asta, emergono un’analisi della situazione attuale e una strategia per il futuro. «Non è colpa della Biennale» ci tiene a precisare Neri Torcello, consulente d’arte internazionale e tra gli organizzatori del Forum, «concorrono ragioni di diverso tipo, e molto dipende anche dalle narrazioni che riguardano l’arte del continente», narrazioni che a volte disorientano il pubblico occidentale, entrando in contrasto con certi immaginari stereotipati del continente.

Neri Torcello e Osei Bonsu
Difficoltà – Uno degli ostacoli alla presenza dell’arte africana in Laguna è costituito dall’impostazione della Biennale di Venezia e della maggior parte delle rassegne europee e occidentali, focalizzate su una rappresentazione nazionale dello scenario artistico. L’arte africana è una realtà che si sviluppa spesso in una dimensione transnazionale e addirittura, in certi casi, al di fuori del continente: sono molti gli africani emigrati e il risultato di questa diaspora è una produzione legata all’identità africana che spesso si sviluppa in Europa o in America. Ciò crea anche un problema di definizione di arte africana, etichetta per molto tempo inquinata da produzioni artistiche esotiche e naif fatte da occidentali senza alcun legame identitario con l’Africa. A questi problemi si aggiunge una mancanza di letteratura specifica che inquadri la storia dell’arte recente del continente.
Poi vengono i problemi strutturali della produzione artistica in Africa. I governi sono poco propensi a finanziare progetti artistici, sia di respiro interno sia di rappresentanza internazionale. Adenrele Sonariwo, curatrice del padiglione della Nigeria, per la prima volta con un suo padiglione alla Biennale, ha dovuto cercare personalmente tutti gli sponsor e i partner per rendere possibile l’esordio del paese in Laguna, perché il governo nazionale non ha dato alcun supporto economico. «I governi purtroppo devono affrontare altre emergenze in Africa» dice Serge Tiroche, collezionista e fondatore della collezione Tiroche DeLeon, convinto che la differenza la debbano fare i privati. Tokini Peterside invece, fondatrice e direttrice di Art X Lagos, ha notato che i governi o le amministrazioni locali cominciano ad accorgersi dell’importanza della creatività per lo sviluppo di una comunità, ma il problema è che il supporto pubblico è sempre sporadico e a posteriori, a finanziare progetti già avviati da privati e associazioni, in assenza di un piano nazionale comune di promozione delle arti.
Opportunità – Una risorsa, in mancanza di reti nazionali e continentali consolidate, è data dal web. «Molti artisti esposti al Lagos Photo Festival», spiega Maria Pia Bernardoni, tra i curatori della kermesse, «li abbiamo scoperti attraverso Instagram e grazie al festival sono riusciti ad esporre poi in Europa». Ma anche la libertà e potenzialità del web sono rallentate nel continente dai problemi infrastrutturali e dalle ingenti tasse governative sulla connessione. L’altro aiuto alla produzione artistica africana può venire dall’interesse emergente del pubblico e dei collezionisti. «È interessante che anche i nostri collezionisti storici stiano cominciando a comprare arte africana» dice Hannah O’Leary, direttrice del nuovo dipartimento di arte africana moderna e contemporanea di Sotheby’s, che crede ci siano più opportunità che difficoltà in questo mercato e che la presenza della casa d’asta inglese possa incoraggiare il collezionsimo internazionale ad investire sugli artisti emergenti africani. «È fondamentale però», precisa Serge Tiroche, «che le gallerie occidentali non dopino i prezzi degli artisti africani ma li tengano accessibili, in modo da incoraggiare il mercato ed evitare che questo recente boom dell’arte africana contemporanea si riveli una moda passeggera».
Arte di qualità, oltre le etichette – L’arte africana contemporanea ha molto da dire, di questo si sono accorti collezionisti e pubblico, e una sua sottorappresentazione va a discapito di tutto il sistema dell’arte internazionale. Per questo motivo la due giorni di forum si è tenuta ben lontano da qualsiasi vittimismo: per risolvere i problemi esistenti e inventare nuove narrazioni e autonarrazioni il settore deve fare rete, pur consapevole dei diversi ruoli degli operatori in campo. L’etichetta di arte africana infatti, utile nel mercato e nella promozione della produzione artistica del continente, può risultare asfittica se applicata troppo rigidamente nei musei, come sottolinea Alicia Knock, curatrice del centre Pompidou di Parigi.