La famiglia ha un passato di migrazioni e lei è un’autrice che scrive del tema. Per questo Nadeesha Uyangoda, una dei curatori speciali di Book Pride 2023, preferisce parlare della sua curatela per la fiera e di temi sociali, piuttosto che del naufragio di Cutro: «Non voglio esprimermi, è una vicenda complessa che mi tocca molto facilmente».

Chi è Nadeesha Uyangoda lontana dai riflettori?
Io sono una scrittrice, un’autrice e una podcaster. Ho scritto un libro che si intitola “L’unica persona nera nella stanza” che è uscito per 66thand2nd. Inoltre collaboro con diverse testate, tra cui Internazionale per cui curo la rubrica Il libro, dedicata alla narrativa. Non solo: ho ideato un podcast dal titolo “Sulla razza”, che scrivo e conduco con Natasha Fernando e Maria Catena Mancuso. Se dovessi raccontarmi a chi non mi conosce, direi probabilmente che io sono i miei libri e i miei podcast. I libri sono una parte importante della mia vita quotidiana così come la scrittura, che mi accompagna sempre. Lettura e scrittura sono una costante anche della mia vita privata. 

Come hai reagito alla proposta di curare un percorso della settima edizione di Book Pride?
Non me l’aspettavo, però sono stata molto felice quando me l’hanno detto. Fare una curatela è un qualcosa di impegnativo, di importante, sebbene la mia sia più piccola delle altre. Però è stato un onore quello di avere l’opportunità di sviluppare una propria mappa all’interno di questa edizione. La prima cosa che ho pensato quando l’ho saputo è che il tema di quest’anno, “nessun luogo è lontano”, si sposa bene con i miei interessi attuali: lingua, letteratura post-coloniale, il mondo della traduzione (soprattutto della traduzione di libri del subcontinente indiano). Traiettorie linguistiche (il titolo della sezione curata da Nadeesha per Book Pride 2023, ndr.) sintetizza tutti questi interessi. Il titolo mi è stato proposto da Isabella Ferretti (presidentessa della fiera nazionale dell’editoria indipendente ndr.), perché il filo rosso di questi 12 incontri è la lingua nelle sue varie declinazioni. 

Sulla biografia che troviamo sul sito della 66thand2nd, la casa editrice che ha pubblicato il tuo libro, e nel nome del tuo podcast troviamo il termine “razza”, che negli ultimi anni è diventato quasi un tabù. Perché tu fai questa scelta lessicale?
Recupero il termine dalla letteratura anglofona, soprattutto quella americana che si occupa di discriminazione razziale. Da un certo punto di vista è un uso letterale. Dall’altro lato è un promemoria dell’utilizzo storico che si è fatto del termine e del concetto di “razza”, soprattutto in Europa a causa della colonizzazione. Questo è dovuto al passato storico dell’Europa, ma io voglio ricordare che il termine non si collega soltanto al nazifascismo e alle leggi razziali, ma soprattutto alla colonizzazione. Ma il termine continua a vivere oltre la sua connotazione scientifica: se razza, da un punto di vista biologico, è un termine che è stato smentito a più riprese, la parte sociologica continua a persistere e riprodursi negli spazi sociali, perché c’è chi continua a subire l’esistenza di questo concetto, quindi c’è chi continua a essere “razzializzato”. È un concetto che impatta fortemente su molti soggetti, per questo è un termine che va nominato, perché è un termine che esiste davvero.

Qual è il tuo legame con Book Pride?
La mia prima volta a Book Pride è stata a Genova, nell’autunno 2020. Dopo di che l’ho sempre seguita: l’anno scorso ero a Milano, col tema “Moltitudini”, dove io ho fatto una sorta di monologo-presentazione sulla lingua, la traduzione e l’uso delle lingue in letteratura. È stata molto d’impatto perché ho conosciuto tanti autori e scrittori, tra cui Anna Dotti, che ho invitato per l’evento di “Traiettorie linguistiche” che si chiama Tradurre il subcontinente perché è la traduttrice di alcune delle maggiori penne indiane che scrivono in lingua inglese. 

“Traiettorie linguistiche”, quindi, significa anche che affronterai la lingua da ogni punto di vista?
Sì, esatto. C’è anche un incontro sulla lingua vernacolare o, meglio, su come la produzione culturale in Italia si fondi un po’ sul binomio nord/sud e anche sul binomio italiano/lingue vernacolari. La cultura in Italia sembra fatta con un solo accento, mentre la produzione culturale dovrebbe essere più sfaccettata. Ancora, c’è un incontro sui femminismi, dove viene messa in luce la distanza tra la lingua accademica e quella di chi si occupa di femminismo all’interno di spazi urbani, sociali. Poi abbiamo un evento sull’italiano come seconda lingua o come lingua di confine. Parleremo anche di italiano come lingua che si sta trasformando per includere esperienze e corpi non bianchi. Non solo: ci sarà un incontro sulla “non lingua” dove, a partire dal primo libro in lingua tamil tradotto in Italia (Punacci, storia di una capra nera, di P. Murugan, Utopia, ndr.) si discuterà anche del parlare con qualcuno che non condivide la nostra lingua, come è per gli animali.

Qual è l’incontro da te organizzato a cui tieni di più?
È difficile da dire, però probabilmente sono due. Uno è Parlare meridionale perché è il primo incontro a cui ho pensato e perché ho letto tanto a riguardo. L’altro è quello sulla traduzione, The Empire writes back: il titolo prende spunto da un articolo di Salman Rushdie degli anni ’90 sull’impero indiano che riscrive, o “scrive indietro”, perché fino agli anni 90 sono soprattutto gli inglesi e i paesi anglofoni a raccontare l’India. Solo in quegli anni una serie di scrittori e scrittrici indiani hanno cominciato a scrivere dell’India dal loro punto di vista, utilizzando la propria narrazione. Questo incontro sarà sulla traduzione di libri che vengono dall’area geografica dell’India o, più in generale, su libri che non utilizzano una lingua standard. 

La tua biografia dice che ti occupi di migrazione, quindi sarai stata molto attenta alla vicenda di Crotone. Qual è il primo pensiero che, come scrittrice di questi temi, hai fatto su questo avvenimento? E sul dibattito politico che ne è scaturito?
È una domanda molto complessa. Ho una posizione in quanto cittadina, in quanto persona con una certa visione politica, ma dall’altro lato è un po’ difficile scindere questa visione politica dalla me scrittrice. Sono figlia di genitori immigrati, quindi la vicenda mi tocca molto facilmente.  Preferisco evitare di rispondere a questa domanda.