Pupi Avati

«Caro Vittorio, ho avvertito, in sintonia con gli autori dell’ Anac e con tutti i cineasti che vorranno condividere questa mia, la necessità di scriverti per dirti pubblicamente e in modo incondizionato la nostra vicinanza in queste ore difficili della tua vicenda umana». Una lettera ad un amico. A un collega. Una lettera che ha messo d’accordo gran parte del cinema italiano. Una missiva scritta da Pupi Avati all’ex imprenditore, politico, patron della Fiorentina e produttore cinematografico, il 78enne Vittorio Cecchi Gori condannato in via definitiva a scontare, in carcere, una pena di 8 anni e 5 mesi per il crac della casa di produzione cinematografica Safin.

La lettera –  Arrivata dopo l’ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale presso la Corte di Appello di Roma, la lettera aperta è un gesto di solidarietà del mondo dello spettacolo che si è mobilitato per far arrivare a Cecchi Gori, ricoverato all’ospedale Gemelli di Roma, un messaggio preciso: «Sia tu che tuo padre Mario – si legge nel documento – siete assi portanti della storia del nostro cinema. La gran parte dei più significativi autori italiani ha lavorato per il tuo gruppo imponendosi nel mondo grazie allo straordinario operato delle tue società di produzione e distribuzione». Un modo di esprimere riconoscenza per chi ha contribuito a rendere il cinema italiano famoso anche a Hollywood, come nel caso dei film premiati agli Oscar: Il Postino e La Vita è Bella.

Le firme –   Un passaparola di consenso che in poche ore ha raccolto adesioni quasi unanimi nel mondo del grande schermo. Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore, Paolo Taviani, Giuliano Montaldo, Matteo Garrone, Paolo Virzì, Gabriele Salvatores, Stefania Sandrelli, Aurelio De Laurentiis, Carlo Verdone, Piera Detassis, Roberto Ciccutto, Laura Delli Colli, oltre a Sngci (il Sindacato nazionale giornalisti cinematografici)  e Anac (l0associazione degli artisti del cinema) sono solo alcune delle firme lasciate “a piè di pagina”.

«Non contestiamo i giudici» –  Nella lettera è esplicita la vicinanza umana di attori e registi che conoscono le condizioni di salute di Cecchi Gori, peggiorate dal 2017 dopo l’ultimo ricovero in ospedale per un’ischemia. Sempre nelle parole di Avati però, risulta chiaro che l’attestato di solidarietà  non vuole «contestare» la sentenza ma ritiene che la condanna «debba tenere conto della tua età e delle tue precarie condizioni di salute». Avati scrive: «Contiamo su un’oculata e tempestiva riconsiderazione del tuo caso che mitighi la sentenza e che ti restituisca a quel minimo di serenità che sappiamo meriti. Noi del così variegato e conflittuale cinema italiano in questa circostanza ci troviamo in piena sintonia nel dirti tutto il nostro affetto e soprattutto la nostra solidarietà».

Vittorio Cecchi Gori

Cecchi Gori è piantonato all’ospedale dove è stato ricoverato subito dopo la sentenza definitiva, arrivata alla fine di un processo iniziato nel 2008. Capo d’imputazione: bancarotta fraudolenta della Safin. Il più giovvane dei Cecchi Gori era già stato arrestato nel 2002 per un altro crac, quello della Fiorentina, squadra di cui era presidente. Quel procedimento gli costò una pena detentiva di 3 anni e 6 mesi, poi coperta in gran parte da indulto. La lista di procedimenti giudiziari però, non finisce qui: dopo altre indagini eseguite nel 2011, a Cecchi Gori era stato confiscato il capitale sociale delle società Fin.Ma.Vi., Cecchi Gori Cinema e Spettacolo, New Fair Film, Adriano Entertainment e Vip 1997. Dal 2013, dopo il crac da 24 milioni di euro della Finmavi, la pena è cresciuta fino ad arrivare, alla data del 5 marzo 2020, a 8 anni, 5 mesi e 26 giorni di reclusione.