Un archivo con quasi 6 milioni di fotografie e migliaia di prime pagine. È questa la materia prima che è stata raffinata per allestire “La Stampa fotografa un’epoca”, la mostra che si potrà visitare a Torino, nei locali di Palazzo Madama, fino al 22 maggio. Cynthia Sgarallino è art director nella redazione del quotidiano piemontese e spiega come ha curato l’intero progetto.

Quale criterio è stato usato per selezionare il materiale?
«Abbiamo diviso le fotografie in 13 pannelli, ognuno basato su un tema che leghi la città di Torino, la storia de la Stampa e il lavoro che viene fatto in redazione. Volevamo mostrare non solo l’epoca che abbiamo raccontato ma anche come è cambiato il nostro mestiere. Per questo abbiamo inserito fotografie accartocciate, segnate a penna o coperte con lo scotch che veniva usato per indicare in quale pagine pubblicarle. Per le prime pagine è stato adottato un altro metodo. Prima abbiamo stilato un elenco di eventi e poi abbiamo scelto le prime pagine più significative».

Come era organizzato il lavoro?
«Ci siamo occupati in quattro di questo progetto. Oltre a me c’erano anche Irene Opezzo, Elisabetta Pagani e Samuele Menin. Il fatto di essere in tre donne credo si noti nella mostra. La figura femminile è al centro di molti pannelli. Ci abbiamo messo un anno per mettere tutto insieme. Non eravamo impegnati a tempo pieno ma abbiamo continuato a svolgere i nostri compiti in redazione. Il lavoro era complesso sia perchè dovevamo decidere quali foto esporre sia perchè era necessario verificare i diritti di ogni immagine. Abbiamo dovuto ricontattare i fotografi che hanno collaborato con noi». 

Come sono disposte le sezioni della mostra?
«I tavoli che conservano le fotografie non seguono un ordine cronologico. Procedono per contrappunto, non c’è un’unica chiave di lettura. Al centro però c’è quasi sempre la Stampa. Prendiamo ad esempio il tavolo dedicato allo svago. Qui sono raccolte anche le immagini delle vacanze che il giornale organizzava per i suoi impiegati. C’è una gita a Sanremo, una a Nizza e perfino una crociera nel Mediterraneo».

Video di Manuela Gatti

Qual è il ruolo che ha avuto la Stampa per Torino?
«Il nostro è sempre stato un giornale glocal. È legato a Torino e in generale ai sui territori, dal Piemonte alla Val d’Aosta. Allo stesso tempo è attento agli esteri. I torinesi, a loro volta, sono molto legati a la Stampa. Da sempre è il giornale che porta le notizie dentro le loro case. Non sono mai mancate le pagine dedicate alle cronache locali, con i resoconti di tutto quello che accade in città. A questo proposito è importante il tavolo legato alla solidarietà. Il nostro giornale ha una fondazione che si chiama Specchio dei Tempi. Si occupa di benficienza e raccoglie fondi per portare aiuto nelle crisi umanitarie. I nostri lettori la conosco bene e hanno finanziato tutti i nostri progetti. Siamo stati nelle regioni italiane colpite dalle alluvioni  e nelle zone più povere del mondo. C’è una foto che testimonia la partenza di un areo diretto verso l’India nel 1960. Un’altra invece riprende una colonna di camion piena di aiuti per le popolazioni colpite dall’alluvione del Friuli. Qui siamo sempre su un doppio binario: globale e locale».

C’è qualcosa di nuovo che ha scoperto scavando tra tutte queste foto?
«Ho trovato un’immagine scattata in Georgia, negli Stati Uniti, e datata 1934. Un giornalista de la Stampa era andato lì per scrivere degli articoli ed è stato accompagnato da un fotografo. Non pensavo che il nostro giornale all’inizio del secolo seguisse con tanta attenzione una notizia proveniente da oltre oceano. Credo che la scelta di mandare un fotografo insieme al giornalista fosse molto avveniristica per l’epoca».