Sì, «uscire il cane» da oggi si può. Così come «sedere il bambino», «entrare i panni» o «salire la spesa». A esprimersi in merito è Vittorio Coletti dell’Accademia della Crusca, in una nota dell’11 gennaio, affermando che «sedere, così come altri verbi di moto, ammette in usi regionali e popolari sempre più estesi anche l’oggetto diretto. L’efficacia e sinteticità espressiva può indurre a sorvolare sui suoi limiti grammaticali». La dichiarazione ha subito fatto esplodere una polemica sull’uso di queste espressioni anche nel linguaggio scritto. A placare gli animi e dettare una linea comune è intervenuto il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, intervistato dall’Agi, il quale ha ribadito che «gli insegnanti sono comunque chiamati a correggere quelle forme nell’italiano scritto e formale».
Ma questo non è il primo caso in cui termini di uso comune, o neologismi, hanno creato incomprensioni, polemiche, o semplicemente simpatici siparietti.
Maria come «influencer di Dio» – Si è conclusa domenica 27 gennaio la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, dove il Papa ha incontrato 600mila ragazzi provenienti da ogni parte del mondo. Il Pontefice ha predicato la vita e l’amore, incoraggiando i giovani a uscire dalla loro bolla virtuale. Ha parlato poi di Maria, e dell’importanza che la donna ricopre nella storia della fede cattolica, definendola «l’influencer di Dio». Proprio questa settimana, il termine “influencer” è stato inserito come neologismo nell’archivio dell’Accademia della Crusca. Tra i tanti temi toccati da Papa Bergoglio, anche tutorial, app e cloud, a testimoniare la vicinanza della Chiesa al mondo dei giovani.
Il caso del fiore “petaloso” – Una storia che attirò l’attenzione mediatica nel 2016 fu quella del piccolo Matteo, studente di una scuola elementare di Ferrara. Suo l’errore durante un compito di italiano di definire un fiore “petaloso”, aggettivo che, secondo il bambino, avrebbe dovuto indicare la qualità di avere tanti petali. Da quell’errore e dall’idea della sua maestra nacque una lettera all’Accademia della Crusca, che rispose in maniera positiva, approvando il termine. Dall’anno successivo il neologismo fu anche inserito all’interno del vocabolario Treccani.
Quando l’italiano viene dalla strada – Non sempre un nuovo termine viene presentato al grande pubblico dal Papa o da una maestra di scuola elementare. È il caso di “BUFU”, da scrivere tutto in maiuscolo, che si è imposto nel linguaggio giovanile grazie al gruppo trap romano Dark Polo Gang, e che dal 2018 ha guadagnato anche un posto tra i neologismi della Treccani. Proprio nel vocabolario si legge che l’espressione è l’acronimo della frase “By Us, Fuck You” (“Per quanto ci riguarda, vai a quel paese”, più o meno), insulto di derivazione americana per rispondere alle offese degli “haters”, altro termine nato grazie al fenomeno dell’odio tramite social network. Dietro al termine BUFU però, come spiegato dagli stessi membri della Dark Polo Gang, si celerebbe un altro significato: la citazione originale sarebbe tratta dal film “How High” (conosciuto in Italia come “Due sballati al college”). Nella pellicola si vede il protagonista indossare una felpa con la scritta BUFU, e alla domanda sul significato dell’acronimo, la risposta fu “Buy Us, Fuck You” (“Compraci e vai a quel paese”, anche qui con traduzione approssimativa), detta con l’intento di ironizzare sui grandi marchi di abbigliamento.