dibattito fake

Natalia Hernandez Rojo, Alberto Puoti, Alexios Mantzarlis e Patrick Worrall nel dibattito su «Fact checking in tv: alla ricerca di un formato vincente»

«Se ci sono giornalisti in questa stanza, per favore, scavate. Le fake news si possono aggiustare». Con questo monito Alexios Mantzarlis inaugura la seconda giornata del Festival internazionale del giornalismo 2017. Le notizie false che popolano il web sono tra gli argomenti più trattati dalla rassegna voluta da Arianna Ciccone, che quest’anno ha raggiunto l’undicesima edizione e animerà la città di Perugia fino a domenica 9 aprile. Mantzarlis dal 2015 è in Florida – al Poynter Institute di Saint Petersbourg –  per guidare un network internazionale di fact checking, espressione anglofona per indicare chi controlla la veridicità dei fatti riportati dai media.

Controllare i fatti. Il fact checking sembra l’antidoto più promettente al dilagare di fake news. «In Inghilterra la maggior parte delle persone ammette di informarsi principalmente su Facebook e quasi tutti pensano di essere assolutamente in grado di riconoscere intuitivamente le fake news», racconta Patrick Worrall di FactCheck Channel 4 News, «ma le persone confidano eccessivamente nelle proprie capacità, e solo il 4% delle persone intervistate sa come verificare un fatto. Ci vuole metodo». Per questo sarebbe meglio insegnare alla gente come orientarsi in materia, invece che puntare a fidelizzare il proprio pubblico di riferimento e affidare tutto il processo di verifica ai giornalisti. Il fact checking è un lavoro di squadra.

Sul web. Per un controllo delle informazioni ottenute da internet spesso bastano pochi minuti. Per prima cosa conviene controllare il dominio del sito: se l’indirizzo è poco noto o non termina in modo familiare (.com, .org, .it) dovrebbe suonare un primo campanello d’allarme sull’affidabilità delle informazioni che propone. Se poi il sito non prevede una sezione per presentare chi si occupa delle notizie, meglio stare all’erta: «Se un sito non parla di sé, come puoi fidarti delle informazioni che dà?», continua Worrall. Per quanto riguarda le citazioni di personaggi celebri, prima di condividerle sui social network è sempre meglio inserirle nel motore di ricerca e verificare quante (e quali) fonti le riportano testualmente. Un discorso simile vale per le fotografie. «Spesso chi diffonde fake news usa foto vere, ma scattate in circostanze diverse da quelle dichiarate», avverte Worrall, «ma con Google è facile risalire alla data e al luogo dove sono state effettivamente scattate».

Sul piccolo schermo. C’è chi si impegna nel fact checking anche per la televisione. Alberto Puoti, di Rai 2, è uno di questi: «Con un programma come Virus il fact checking in Italia è arrivato in tv, ma molti politici si rifiutano di partecipare alle trasmissioni se la verifica delle informazioni è in diretta. Hanno paura di essere smentiti». Il controllo delle informazioni, se dev’essere immediato, per forza di cose non può essere troppo approfondito. Controlli approfonditi richiedono tempo ed energie. Quale alternativa è più efficace per una realtà come quella televisiva? Secondo Mantzarlis, dipende dal Paese in cui ci si trova: «In America, dove i canali d’informazione sono molto frammentati e i dibattiti per le elezioni presidenziali sono praticamente l’unica occasione in cui un pubblico davvero ampio accede ad una fonte d’informazione comune, funziona meglio il fact checking in diretta, anche se significa inserire sottopancia che smentiscono quanto appena affermato dai candidati», afferma. La Bbc ha fatto così durante gli ultimi duelli tra Clinton e Trump. «Altrimenti è sempre meglio prendersi il tempo necessario e prediligere la precisione», conclude Mantzarlis.