Il 23 aprile è un giorno particolare a Barcellona, capitale della Catalogna: nella stessa data si celebrano sia Sant Jordi, patrono della comunità autonoma, sia la Giornata Internazionale del Libro. Numerosi scrittori colgono l’occasione per promuovere le loro ultime opere, di fronte a schiere di lettori desiderosi di farsi firmare la propria copia. Da qualche tempo, tra i protagonisti dell’evento catalano rientra anche l’italiano Federico Moccia: l’autore, molto celebre in Spagna, quest’anno ha presentato “Tú, simplemente tú” (“Sei tu”, in italiano). Lo abbiamo incontrato di buon mattino all’Hotel Regina, dove gli scrittori si sono ritrovati per consumare la tradizionale colazione che inaugura la giornata di festa.

Quanto è diverso il pubblico italiano da quello spagnolo?

In Spagna è un pubblico più adulto e senza pregiudizi: hanno letto i miei libri anche donne tra i trenta e i cinquanta anni; in parte perchè le ricordano cose della loro vita e in parte perchè raccontano ciò che sta accadendo ai loro figli. “Carolina se enamora” (“Amore 14” in Italia), che è stato il più grande successo spagnolo, parla della vita di un’intera famiglia.

Perché ha deciso di raccontare storie di adolescenti? E come fa a immedesimarsi in loro, dal momento che non ha figli?

Il primo libro che ho scritto riguardava un po’ quello che io avevo vissuto da adolescente: Babi era il racconto del mio primo grande amore e della mia prima delusione. Quindi per certi lati è stato un libro più facile. D’altra parte “Esta noche dime si me quieres” (in italiano “L’uomo che non voleva amare”) è un libro molto più adulto: parla di due quarantenni, una famosa pianista e un milionario. Per quanto riguarda gli adolescenti, oggi sono molto cambiati. Ma attraverso i social network si capisce molto su di loro, così come attraverso le interviste che si vedono in televisione. Lo scrittore é uno che sta in una stanza e immagina.

Come è cambiato il suo modo di scrivere durante gli anni? Ormai è passato un decennio dal suo esordio nel mondo della narrativa.

Il mio modo di scrivere non è cambiato, secondo me. Mi piace avere uno stile che è il mio, perchè rappresenta come mi sento e il modo in cui mi viene da esprimermi in quel momento. Non mi piace modificarmi, così come vedo fare a volte nei rapporti tra le persone. Alcune donne e alcuni uomini cambiano l’atteggiamento e il modo di vestire a seconda di chi frequentano. Invece credo che una persona debba essere amata soprattutto per quello che è: quello è l’amore più vero. Se una persona ti ama, è perchè ti ha conosciuto in quel modo, perchè tu sei in quel modo. Non puoi modificarti a seconda del momento o del tempo. Ci sono delle cose che fanno parte di te.

Come risponde alle critiche di chi dice che i suoi racconti sono troppo “leggeri”?

Credo che un libro sia un incontro tra ciò che una persona ha vissuto e ciò che una persona ritrova. Quando sono stato a Bogotá, in Colombia, una ragazza è venuta apposta a conoscermi, perché uno dei miei libri le era stato vicino in un momento difficile della sua vita, le era stato d’aiuto. Ciò che si trova in un libro dipende dalla sensibilità della persona, della sua capacità di lettura rispetto a quello che viene raccontato. Anche perchè a volte le critiche che ho ricevuto erano preconcetti di gente che non aveva mai nemmeno aperto un mio libro. A me questo dispiace perchè vuole dire “essere pecora”, uniformarsi a un’idea. Io vedo una donna, sento parlare di lei, ma se poi la conosco scopro un altro mondo, che è il mio mondo con lei; e quella persona è diversa da come me l’avevano raccontata perchè molti non l’avevano capita. Io magari la capisco.

Andrea de Cesco