Non solo la Bundesbank, l’euro, il rigore. E i würstel. Per dieci giorni, dal 6 al 16 febbraio, la Germania sarà soprattutto il Paese del cinema, perché mai come quest’anno il Festival di Berlino è soprattutto un festival tedesco. Fin dal primo giorno, visto che il film d’inaugurazione, The Gran Budapest Hotel, di Wes Anderson, è girato a Berlino. Sempre in Germania è ambientato l’altro grande film del Festival, The Monuments Men di George Clooney, fuori concorso, che racconta il tentativo di un gruppo di uomini di salvare le opere d’arte dalle razzie naziste durante la Seconda guerra mondiale.
Insomma la 64° edizione della Berlinale ricorda a tutti che la Germania è ancora la patria del cinema, con un passato importante – Lang, Murnau e Lubitsch solo per ricordare alcuni – e un presente mobile e attivo, al punto che ben quattro dei 20 film in concorso per l’Orso d’Oro sono tedeschi e in altre sette film la Germania è co-produttrice.
La Berlinale ha un’anima a sé. È diversa da Venezia, diversa da Cannes, diversa da Toronto. A differenza della maggior parte dei Festival, che sono perlopiù rassegne esclusive e un po’ naif, il pubblico a Berlino arriva numeroso, e lo è anche quest’anno: 500 mila i biglietti venduti, solo una piccola parte di questi sono addetti ai lavori o giornalisti, il resto è pubblico nudo e crudo.
La qualità rimane – immancabili le pellicole orientali in gara, tre cinesi e una giapponese – ma Berlino è anche pop, tant’è che il direttore artistico, Dieter Kosslick, lo stesso da tredici anni, ha deciso di piazzare sei camion in punti strategici della città per vendere street food ai visitatori, seguendo la moda del momento, quella dei baracchini che vendono cibo poco costoso, buono e originale.
The Gran Budapest Hotel si annuncia altrettanto pop. Il regista, Wes Anderson – quello dei Tenenbaum – ama le trasformazioni, i colori accesi, nonché le trame irriverenti e un tantino schizofreniche. Nel suo ultimo film il cast è invidiabile e, come nota Paolo Mereghetti, «ha più stelle che in cielo». Compaiono, per la precisione: Edward Norton, Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Willem Dafoe, Lea Seydoux (la Emma di Adéle), Bill Murray, Jude Law, Owen Wilson e Adrien Brody. Girato nella capitale tedesca, è ambientato negli anni Venti all’interno di un hotel di lusso e in Italia uscirà il 10 aprile.
L’Italia presenta solo tre opere, nessuna in corsa per l’Orso d’Oro, che due anni fa andò a Cesare Deve Morire dei fratelli Taviani. Felice chi è diverso, il documentario di Gianni Amelio, sarà proiettato nella sezione Panorama, così come le altre due pellicole, In grazia di Dio di Edoardo Winspeare e Natural Resistence di Jonathan Nossiter, il docu-film che indaga il cambiamento, non sempre positivo, delle aziende vinicole italiane.
Susanna Combusti