L’algoritmo di Facebook è nemico delle testate giornalistiche? No, se lo si conosce. E si è consapevoli di come usarlo. Nel primo giorno del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, il rapporto tra l’attività giornalistica e il social di Mark Zuckerberg è stato al centro di più incontri. In particolar modo, la costruzione di un rapporto tra testate e utenti che si basi sulla qualità dei contenuti, su un’interattività trasparente e su una multimedialità diffusa.

Metodi fallimentari e soluzioni – In una delle prime conferenze del programma, “Come costruire comunità informate su Facebook”, Livia Iacolare, manager per Facebook Italia, ha delineato le strategie adoperate dalle grandi testate giornalistiche per tentare di fidelizzare il proprio pubblico social.  A causa di un algoritmo pensato per favorire l’interazione tra gli utenti, spesso si ricorre a scelte errate per ottenerla. Il clickbait e l’engagement bait sono tra gli esempi più noti. Nel primo caso il ricorso, per attrarre lettori e click, a titoli urlati, enfatizzati e mai rispecchianti i contenuti dei loro articoli, si rivela «una promessa non mantenuta nei confronti degli utenti, desiderosi invece di accuratezza e autenticità». Caratteristiche non rintracciate neppure nell’engagement bait, «una pratica forzata e artificiosa di interazione attraverso la richiesta esplicita di tag, commenti, like e reaction». L’intervento di più lettori deve essere certamente stimolato, ma con «osservazioni e domande pertinenti alle notizie pubblicate». Senza sottovalutare un altro aspetto rilevante: «I commenti dei lettori non devono essere trascurati. Rispondere, o anche un semplice like, a quelli con più successo, favorisce la circolazione della notizia in questione».

Creare community fedeli – Se i metodi di pubblicazione e la valorizzazione degli articoli non possono essere sottovalutati, nuove sono le vie che devono essere esplorate per creare delle vere community interessate. La creazione di un gruppo chiuso, possibilità che Facebook ha sempre offerto dalla sua nascita, può risultare un veicolo di nuove idee: «Il New York Times, di recente, ha fatto un’inchiesta sul mondo delle assicurazioni sanitarie creando gruppi su Facebook e chiedendo agli utenti di raccontare le loro esperienze in merito». Un gruppo, se ben gestito e regolamentato, offre «una sensazione di sicurezza ai lettori, che si sentono coinvolti e hanno la possibilità di un dialogo prolungato e di ascolto reciproco». Il risultato è così la creazione di un legame di forte fedeltà tra una fetta di pubblico e una testata coinvolgente.

La nuova frontiera del video – Grande attenzione è stata posta anche sull’audiovideo, aspetto su cui i social stanno investendo molto grazie al continuo sviluppo di più modalità di fruizione, dall’applicazione Igtv di Instagram, che consente la registrazione di video lunghi e verticali, fino alle stories, adatte a comunicare con il pubblico grazie alla loro immediatezza. L’importante, però, è sapere come sfruttarle: «Devono essere molte e pubblicate a distanza ravvicinata tra loro, così da poter raccontare davvero una storia». Le dirette, ma anche video party o prime visioni, ossia la programmazione di filmati precedentemente girati, sono le altre strade da percorrere da parte delle testate, poiché consentono agli utenti di interagire e commentare tra loro. Non è un caso che l’ultima novità importante di Facebook sia stata l’introduzione della sezione Watch, aspirante rivale di YouTube e in grado di garantire, col suo collegamento a Instagram, «il cross-posting, ossia la pubblicazione di un video su più piattaforme contemporaneamente». Una necessità, così come la serialità e l’abitudinarietà dei contenuti, determinanti per invogliare il pubblico a creare un rapporto costante e di fiducia.

Una foto della conferenza tenuta da Giovanni Ziccardi

E se i lettori non sono all’altezza? – Un problema nel rapporto tra testate e followers risiede nell’incapacità di questi ultimi di affrontare discorsi costruttivi. Nell’incontro “Linguaggio d’odio nei commenti dei lettori delle pagine Facebook dei quotidiani italiani”, tenuto da Giovanni Zaccardi, professore della Statale di Milano ed esperto di informatica giuridica, si è riflettuto su chi debba avere la responsabilità di vegliare sui commenti degli utenti virtuali, speso incitanti alla violenza e alla discriminazione. Una soluzione che, secondo il docente, «deve spettare, moralmente e giuridicamente, ai gestori delle pagine e alle redazioni».