Più efficaci delle fake news, più difficili da debellare. La nuova frontiera della disinformazione sono i video e le immagini manipolate: non solo deepfake, ossia clip in cui, grazie all’intelligenza artificiale, chi viene ripreso dice frasi che non ha mai pronunciato o fa cose che non ha mai fatto, ma anche video e fotografie decontestualizzate, tagliate e modificate. Uno dei casi più clamorosi ha riguardato il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, comparso in un video che era stato diffuso da un partito belga e che, nonostante non fosse vero, era diventato virale in pochi giorni.

Le nuove fake news – Se dovesse venire stilata una classifica dei nuovi metodi da utilizzare per distorcere la realtà attraverso i video e le immagini, al primo posto per complessità di creazione e di smascheramento figurerebbero le deepfake. «A causa dei sistemi di intelligenza artificiale utilizzati attualmente è difficilissimo riuscire a verificare se una clip è stata manipolata. Le deepfake sono lo stadio più avanzato», ha spiegato durante il Festival internazionale del giornalismo a Perugia Tom Trewinnard di Meedan, un service che si occupa di fact checking. All’ultimo posto di quest’ipotetica classifica troveremmo, invece, i video e le immagini decontestualizzate, in cui non si riesce a identificare il luogo mostrato. «In questi casi – continua Trewinnard – riuscire a smascherare i falsi è molto più facile. Diventa già più complesso quando analizziamo clip o fotografie modificate attraverso tagli e sovrapposizioni».

Come combatterle – «Check your mother» è il mantra di Michaela Cancela del Google News Lab. Rappresenta l’attitudine al pensiero critico: non dare nulla per scontato. Ma quali sono gli strumenti adatti a combattere queste nuove frontiere della disinformazione online? Due siti da non perdere sono Contextubot, dove è possibile vedere se le clip circolate online fanno parte di video più ampi trasmessi in Tv, e Invid, in cui si può identificare quando e dove è stata scattata la foto o girato il filmato. «E’ essenziale risalire alle fonti. Da lì parte la ricerca», conclude Trewinnard.