La filosofa tedesca Hannah Arendt

La filosofa tedesca Hannah Arendt

Antisemitismo, revisionismo, storia e cronaca. Al centro di Hannah Arendt, l’ultimo film di Margarethe Von Trotta che arriverà nelle sale italiane il 27 e 28 gennaio per la Giorno della Memoria, secondo la regista c’è il coraggio dimostrato su questi temi dalla Arendt. La fatica nel tenere uniti il giornalismo e la filosofia, i fatti e il loro significato. La capacità di aiutare il lettore ad interpretarli.

Il film si annuncia provocatorio, come provocatorio fu all’epoca La banalità del male. Girato il primo e scritto il secondo per stimolare nel pubblico «la capacità di riflessione sul totalitarismo» e quella di «essere indipendenti con il pensiero». Più che un film sulla Arendt, quindi, un film sulla disputa aperta dal suo lavoro giornalistico e di scrittura. Ma quali furono le accuse rivolte alla filosofa?

Adolf Eichmann, l’architetto dell’Olocausto, viene catturato a Buenos Aires l’11 maggio 1960. Trasferito in gran segreto a Gerusalemme, viene processato e condannato a morte. Impiccato nel carcere di Ramla il 31 maggio 1962, caso unico nella storia di Israele. La filosofa tedesca Hannah Arendt, allieva di Martin Heidegger, arrivata la notizia dell’arresto a Buenos Aires del criminale nazista ottiene dal suo giornale, il New Yorker, di seguirlo come inviata. E’ in aula per tutta la prima fase del dibattimento. Una volta tornata in America inizia a lavorare sul materiale raccolto. Cinque articoli e poi un libro, La banalità del male, uscito nel 1963 e accompagnato da feroci polemiche.


Il dibattito che si scatena intorno alla filosofa è passato alla storia come “The Controversy”, la controversia. Il ritratto di Adolf Eichmann pubblicato sul New Yorker portò un tema confinato fino a quel momento nelle memorie private, nelle commemorazioni ufficiali e nel dibattito fra gli studiosi, nella sfera della coscienza collettiva e della pubblica opinione. Hannah Arendt entra a gamba tesa, dichiarando che il processo Eichmann portava con sé un elemento di rottura del diritto. «Non si accettano giudizi morali da chi all’epoca non c’era», afferma contro di lei il Council of Jews from Europe. «Io non amo nessun popolo», risponde la Arendt nel film, ma «gli uomini, nella loro individualità».

Definire «banale» l’orrore dell’Olocausto, e soprattutto non condividere il valore catartico che la classe dirigente israeliana aveva associato prima alla cattura di Eichmann e poi al tribunale che lo avrebbe giudicato, costò alla Arendt ingiurie e attacchi violenti. Il suo punto di vista non ortodosso, la sottolineatura del ruolo ambiguo che i «Consigli ebraici» ebbero nel minimizzare la portata dello sterminio, scatenarono la polemica contro di lei. Lo scopo del film di Von Trotta è proprio questo: un invito a pensare e ad agire con indipendenza, a mantenere sempre vigile lo spirito critico. Anche di fronte a una tragedia immensa, come quella dell’Olocausto.

Davide Gangale