La nuova copertina di Charlie Hebdo, uscito in edicola il 14 gennaio

La nuova copertina di Charlie Hebdo, uscito in edicola il 14 gennaio

La critica alla satira di Charlie Hebdo questa volta giunge da una voce inaspettata. Non sono gli estremisti islamici o gli abitanti delle banlieu a lanciarsi contro la linea editoriale del settimanale, colpito dagli attentatori, ma è proprio uno dei fondatori, Delfeil de Ton. “Che bisogno c’era di questa escalation a tutti i costi?”, si chiede.

Ottant’anni e un curriculum passato dal giornale satirico a Le Nouvel Observateur, de Ton sembra puntare il dito soprattutto contro Charb, direttore della testata e principale bersaglio della strage del 7 gennaio. “Ce l’ho veramente con te”, dice senza mezzi termini in un intervento sul settimanale dove lavora dal 1975. “Che bisogno c’era di questa escalation a tutti i costi?”, rincara uno dei fondatori di Charlie Hebdo, che definisce Stéphane Charbonneau “un ragazzo brillante ma testardo”. De Ton vuole poi ricordare soprattutto una discussione con Wolinski, un’altra delle 12 vittime dell’attentato alla redazione. “Credo che siamo degli incoscienti e degli imbecilli che corriamo un rischio inutile. Tutto qui. Ci si crede invulnerabili. Per anni, decine di anni, si fa provocazione e poi un giorno – era stata la riflessione dell’altro noto vignettista ammazzato – la provocazione si ritorce contro di noi. Non bisognava farlo”. Parole che la celebre matita del Charlie Hebdo aveva pronunciato, per contestare la decisione di Charb di pubblicare nel novembre 2011 il titolo “Charia Hebdo”. Un gioco di parole, costato alla rivista satirica l’incendio della redazione pochi giorni dopo.

Ma il dibattito sulla satira di Charlie Hebdo ha dimensione internazionali. E se moltissimi quotidiani hanno deciso di ripubblicare le vignette contestate, fa discutere la scelta del New York Times di non farlo. Dopo l’attentato, il direttore esecutivo Dean Baquet aveva deciso di non pubblicare alcuna caricatura del settimanale francese. Né vecchia, né presa dall’ultimo numero di Charlie Hebdo, dalla tiratura record di cinque milioni di copie. In copertina raffigura Maometto in lacrime, mentre tiene in mano un cartello con la scritta “Je suis Charlie Hebdo”. In alto la didascalia dice “Tutto è perdonato”. Un’immagine che ai lettori del celebre quotidiano newyorkese è stata solo descritta, ma non mostrata. “Il valore di notizia dell’immagine avrebbe dovuto prevalere”, tuona il Public Editor Margaret Sullivan, garante dei lettori, che dal giorno dell’attentato polemizza sulle scelte di censura del giornale. “La nuova copertina – continua – e’ una parte importante della storia che negli ultimi giorni ha catturato l’attenzione del mondo. Anche se la vignetta può disturbare le sensibilità di una piccola percentuale dei nostri lettori, non é scioccante né gratuitamente offensiva. E ha un significativo valore come notizia: come tale avrebbe dovuto essere pubblicata”. Baquet si difende dalle accuse, tirando in causa la sicurezza degli inviati all’estero e il rispetto per la sensibilità dei lettori: “Molti musulmani – spiega – considerano molto offensivo pubblicare immagini del loro profeta e noi abbiamo evitato di farlo”. La bufera però è tutt’altro che finita.

Nell’ultima settimana, il mondo anglosassone ha riflettuto molto sul concetto di libertà di stampa. Se in Europa, quasi tutti i giornali non hanno avuto dubbi sulla pubblicazione delle vignette di Charlie – per difendere il diritto di satira, ma anche per dare un appoggio morale ai colleghi colpiti dal terrorismo islamico – così non è stato negli Stati Uniti e in Inghilterra. Al di là dell’Atlantico, i capitani coraggiosi sono state la testata di Murdoch, il Wall Street Journal, i due tabloid New York Post e Daily News e il Washington Post. Il Financial Times ha addirittura preso posizione contro il settimanale francese, con una forte critica al suo atteggiamento provocatorio nell’editoriale di Tony Barber. Il caso più clamoroso: quello dell’Ap, la maggiore agenzia d’America. In Inghilterra, c’è anche chi ha scelto la strada del ritocco: su Indipendent e Daily Telegraph sono apparse le vignette tagliate o modificate.

Michela Rovelli