Dimezzamento di fondi pubblici, scioperi, stipendi non pagati e stabili occupati. Questa la situazione del sistema teatrale in Italia se si alza il sipario sulla realtà del settore. La crisi economica è solo una della varie cause che hanno prodotto l’attuale scenario. Si tratta infatti di una grave difficoltà non congiunturale ma strutturale, presente da tempo. La politica infatti prevede da anni un ridimensionamento delle risorse per la produzione degli spettacoli. L’Eurispes, nel suo ultimo rapporto, ha certificato che il Fondo unico per lo spettacolo (Fus) è sceso nel 2012 a 193 milioni di euro, dimezzando nell’ultimo decennio il proprio valore reale.
Sono diversi i generi che formano il settore del teatro. E ognuno presenta le sue difficoltà. Partiamo dalle fondazioni liriche sinfoniche che in Italia sono in 14 e si basano su fondi pubblici. Questo nonostante nel 1996 la legge Veltroni le abbia trasformate in fondazioni di diritto privato con l’obiettivo di risolvere il problema della certezza delle risorse a copertura dei costi correnti, creando un sistema di finanziamento misto. Cambiato lo stato giuridico contestualmente, però, latitano azioni per incentivare gli sponsor privati a finanziare lirica, balletti e concerti. In questo modo i soldi rimangono pochi. I dati sono impietosi: negli ultimi dieci anni i teatri lirici hanno perso più di 250 milioni di euro e accumulato debiti per 328 milioni. E a risentirne di più è la quantità (e la qualità) della produzione artistica. Il nostro Paese è scivolato in quinta posizione per numero di recite, dietro a Germania, Usa, Austria e Francia.
Per reagire alla crisi il teatro di prosa ha puntato molto sulla flessibilità. A Roma, ad esempio, sono attivi circa 40 teatri, molti dei quali molto piccoli e con spettacoli a costi bassissimi. Proprio per questo riescono a contare su una nicchia che li frequenta regolarmente, preferendo questa forma di intrattenimento rispetto a cinema e televisione. Ma nonostante ciò ci sono state molte chiusure o rischio chiusura, tra cui il caso dello storico teatro Valle a Roma, divenuto noto in tutta Italia grazie all’occupazione fatta da attori e vip.
Nonostante l’alternanza tra stagioni più o meno fortunate, il musical sembra resistere, e rispetto al resto dell’offerta teatrale rimane un genere vincente perché per via di un pubblico più vasto. Per le sue stesse peculiarità, però, deve farsi carico di forti costi di pre-produzione (scenografie, costumi), cui vanno aggiunte le altre spese. Se la qualità paga, è anche vero anche che risulta difficile contenere le spese.
Il costo medio per recita di un teatro d’opera in Italia è di 135 mila euro, quello complessivo del settore è di 400 milioni, il 70 per cento dei quali è destinato agli impiegati. I conti dei teatri d’opera italiani sono in rosso perché i ricavi al botteghino sono troppo bassi rispetto alle spese. Il saldo negativo è in costante crescita, diversamente che negli altri paesi europei, e dal 2005 al 2010 ben 5 teatri sono stati commissariati. In questa situazione, anche gli scioperi e le proteste delle maestranze sono aumentati. L’ultimo caso, poi rientrato, è stato quello del teatro dell’Opera di Roma.
Per cercare di sopravvivere alcune soluzioni sono state trovate nelle coproduzioni, sia a livello locale e nazionale, sia a livello internazionale. Una nuova strada, da affiancare alle altre strategie, viene offerta anche dalle moderne tecnologie che rendono possibile la vendita di dirette in alta definizione degli spettacoli, sfruttando anche, ad esempio, come per le tournée, il prestigio mondiale della lirica italiana. Ma anche favorire gli investimenti privati attraverso politiche di defiscalizzazione ridurre i costi, o quanto meno gli sprechi, fare sistema e puntare su nuove forme di collaborazione sono alcuni dei modi che il settore utilizza per sopravvivere.
Andrea Zitelli