Milano vista da sotto(terra). La metropolitana milanese protagonista del nuovo libro di Stefano Bartezzaghi, “M: una metronovela” (Einaudi, 273 pag., 20€). Secondo l’enigmista, la rete multicolore, con le sue 108 stazioni, è un labirinto apparente: il caos è sopra, in cima alle scale, e non sotto, perché “la metro – scrive – è una cosa che funziona” e “a Milano non ne sono rimaste molte altre”. Una dichiarazione d’amore? Fino a un certo punto. Anche se la metropolitana è, per Bartezzaghi, inevitabilmente femmina: “Nel libro – ci racconta – ho privilegiato “la metro” a “il metrò”, anche se entrambe le forme sono corrette dal punto di vista grammaticale. C’è chi mi ha rimproverato per questa scelta: la forma femminile è più romana, mentre i milanesi preferiscono il francesismo. Ma io volevo che la metro si distinguesse chiaramente dal metro inteso come unità di misura. E poi volevo che fosse femminile”.
Nel romanzo, l’autore si ritrae spesso sulla metro con un libro tra le mani, ma solo di rado riesce a concentrarsi sulla lettura. Si tratta di una presa di posizione o di un elemento biografico così ricorrente da scivolare nel romanzo senza chiedere il permesso? “In realtà – confessa Bartezzaghi – non è stata una scelta conscia: si vede che la mia frustrazione di lettore inappagato ha preso il sopravvento”. Ma se la città sotterranea è inospitale per chi vuole concedersi il lusso di leggere tra una fermata e l’altra, quella di superficie non è da meglio. In Stazione Centrale, leggiamo da “M”, non ci sono più le panchine che un tempo davano ospitalità a chi voleva ingannare l’attesa con un libro. Ma allora Milano non è una città per lettori? “Lo sarebbe, se non fosse per il rumore. Un problema, ovviamente, che non riguarda solo questa città. In generale, e chi legge lo sa bene, chiunque si sente in diritto di interrompere un lettore: oltre alle pubblicità, alla musica onnipresente e alla confusione, c’è l’interferenza continua delle persone che ti circondano, e non solo in metro ma anche nei parchi, nei bar, in ogni luogo pubblico. E dire che sedersi su una panchina e leggere è una delle attività più gloriose!”
Ha già visto qualcuno leggere – o cercare di leggere – “M” sulla metropolitana? “Ancora no. Forse è troppo presto”. Ma se il suo romanzo comparisse nei distributori di libri che si trovano in alcune stazioni? “Sarebbe un cerchio che si chiude, ne sarei felice. Anche perché il romanzo si presta ad essere letto dai pendolari o anche da chi deve fare poche fermate: i paragrafi sono corti, e non c’è il rischio di perdere il segno, perché il segno ricomincia dappertutto”. Concepito come saggio, durante la scrittura “M” ha imboccato un altro binario. “Lo spunto per “M” – spiega l’autore – è nato da una conversazione in casa editrice. Inizialmente doveva assomigliare molto di più a un saggio, ma poi è come se la scrittura si fosse liberata, lasciando più spazio alla componente fantastica”.
“M” è un ibrido: gli spunti narrativi, quelli autobiografici e quelli saggistici si incrociano come le linee della metro. Il filo conduttore è una proposta provocatoria: sostituire le pubblicità degli schermi della metro con lo storytelling: una “metronovela”, appunto. Nel nome dei lettori, ecco la sua esortazione: “al posto della pubblicità – scrive – un dio più potente: la narrazione”.
Chiara Severgnini
Ascolta l’intervista a Stefano Bartezzaghi per lo speciale “Il viaggio dei libri” di Radio Sestina: