«Prescrivere soglie, ordinare in classifiche, ripartire in rating le riviste». Ma anche certificazioni, accreditamenti, rendicontazioni, riesami e revisioni. In una parola sola, burocrazia. Tanta. Troppa, al punto da spingere si duecento professori universitari a sottoscrivere un appello dal titolo “Disintossichiamoci – Sapere per il futuro”, pubblicato su Roars (Return on academic research). Marco Belpoliti, Alessandro Dal Lago e Marco Revelli tra i firmatari più noti.

L’asservimento al mercato – Negli ultimi trent’anni l’introduzione dell’autonomia universitaria, il processo di Bologna (che aveva l’obiettivo di uniformare l’istruzione in Europa) e la “legge Gelmini” sono le tappe di un percorso che, per gli accademici, ha impoverito l’università italiana rendendo l’insegnamento e la ricerca non più liberi. La causa è l’incessante pressione a produrre, dove il motto “publish or perish” (pubblicare o morire) si è trasformato in “rubbish or perish” (spazzatura o morire). Modi, tempi e luoghi di questa produzione sono dominati dalla logica dell’incremento del profitto e il risultato è «la messa in concorrenza forzata di individui, gruppi o istituzioni». Per i firmatari dell’appello, chi ha provato ad opporsi a questa logica ha dovuto difendersi da accuse di «inefficienza, irresponsabilità, spreco di danaro pubblico e difesa di privilegi corporativi».

La trasformazione del linguaggio – «Miglioramento della qualità, eccellenza, competenza, trasparenza, prodotti della ricerca e erogazione della didattica». Lessico astruso ai più ma entrato ormai nella quotidianità del mondo universitario. Per i 200 docenti si tratta di «impoverito gergo tecnico-gestionale» che testimonia lo «strangolamento burocratico». Evidente anche nel proliferare di sigle, tra le quali Vqr (valutazione della qualità della ricerca) e Asn (abilitazione scientifica nazionale).

Gli obiettivi – I promotori del documento propongono di riaffermare i principi della libertà di ricerca e insegnamento, che sono a tutela del tessuto stesso della democrazia. Invitano a una scelta di campo perché non tutto può stare insieme: condivisione ed eccellenza, libertà di ricerca e neovalutazione, formazione di livello e rapida fornitura di forza lavoro a basso costo, accesso libero al sapere e monopoli di mercato. Superata la soglia simbolica di 100 sottoscrittori propongono un incontro per ragionare su «politiche radicalmente alternative in fatto di valutazione, tempi e forme della produzione del sapere, reclutamento e organizzazione». Infine per giugno 2020 vorrebbero organizzare un’iniziativa, in concomitanza con la prossima conferenza ministeriale del processo di Bologna, per ripensare le politiche della conoscenza.