Anche questa 92esima edizione degli Oscar 2020 doveva essere “So male, so white“, (così maschile, così bianca). Eppure, nonostante le donne siano state più assenti che mai, a portarsi a casa i quattro premi più prestigiosi dell’Academy è stato un film sudcoreano. In un momento così delicato e così infelice per il continente asiatico, i cui abitanti sono vittime di episodi di razzismo e di ignoranza a causa dell’epidemia di Coronavirus che sta colpendo la Cina, sul palco del Dolby Theatre di Hollywood, a ritirare le statuette dorate per il suo “Parasite” è salito Bong Joon-Ho, il regista cinquantenne nato a Taegu, in Corea del Sud. Per la prima volta nella storia degli Academy, ad aggiudicarsi il premio come miglior film è una pellicola in lingua straniera, ma Parasite ha conquistato la giuria anche come miglior sceneggiatura originale, miglior regia e miglior film straniero. Bong Joon-Ho era già conosciuto per aver realizzato il film di animazione Okja e Snowpiercer.  

Premi e incassi – Oltre alle quattro statuette, il film sudcoreano ha conquistato anche il favore della critica del Festival di Cannes, aggiudicandosi la palma d’oro. Gli incassi di Parasite sono stati mediamente alti: 165 milioni di dollari nel mondo, di cui due in Italia. A contendersi l’Oscar per miglior film, anche “C’era una volta…a Hollywood” di Quentin Tarantino, “The Irishman” di Martin Scorsese e “Joker” di Todd Phillips.

ParassitiParasite è stato definito un film di scale. Non solo per l’architettura delle ambientazioni, dai gradini del bagno del seminterrato dove vive la poverissima famiglia Kim, o per le scalinate della luminosa, minimal e spaziosa casa dei Park, ma anche per il messaggio di ascesa sociale sul quale si struttura la trama. La storia di una famiglia alla disperata ricerca di lavoro e di denaro si intreccia, grazie a una serie di sotterfugi, a quella di una famiglia privilegiata. Non la classica storia da sogno americano, ma una commedia amara e dark dove il finale non è dolce e nemmeno sospeso, ma piuttosto una resa. Secondo il regista, non c’è un’univoca spiegazione della scelta del titolo del film: ognuno, guardandolo, è libero di dare la propria interpretazione. Quello che è certo è che la speranza, in “Parasite”, non trova spazio. E che, proprio come impone la cultura sudcoreana, sarebbe sbagliato o scorretto omettere la verità o non esprimerla nel modo più onesto e limpido possibile.

Gli Oscar – “Vorrei avere una motosega per poter dividere questa statuetta in cinque parti e condividerla con tutti voi” ha detto Bong Joon-Ho nel suo discorso di ringraziamento. Ma assieme a lui, a prendersi l’applauso sono stati anche Martin Scorsese, che si è guadagnato una standing ovation, oltre che l’ammirazione del regista sudcoreano, e Quentin Tarantino che Bong Joon-Ho ha ringraziato per averlo sempre inserito nella sua lista dei preferiti, prima ancora che diventasse un fenomeno da Oscar. Il regista ha espresso una grande ammirazione anche per i colleghi Todd Phillips e Sam Mendes, prima di chiudere dicendo: «Ora posso andare a bere molto». Anche un pezzetto d’Italia è stato premiato sul palco dl DolbyTheatre: tra le colonne sonore del film figura “In ginocchio da te” di Gianni Morandi, che in un’intervista all’ Huffington Post ha detto: «Ho visto che il regista ha scelto la canzone perché si chiama “In ginocchio da te”, perché lì i protagonisti della scena sono in ginocchio che stanno facendo questa battaglia. Gli hanno fatto notare che si tratta di una canzone d’amore. E lui ha risposto ‘Ancora meglio’, perché crea ancor di più il contrasto. Poi non saprei dire molte cose perché nella testa del regista, che deve essere un genio, io non ci sono. Mi trovo lì per caso. Certo se l’avessi saputo avrei preso l’aereo e sarei andato lì, avrei comprato il biglietto e mi sarei nascosto in mezzo al pubblico».