Renzo Arbore

Renzo Arbore, cantautore, conduttore radiofonico e televisivo (fonte: teatro.lospettacolo.it)

Le luci sul palco dell’Ariston si sono spente, ma il festival di Sanremo continua a far parlare di sè riscuotendo critiche e apprezzamenti. Renzo Arbore, che a Sanremo ha partecipato nel 1986 piazzandosi secondo con la canzone Il clarinetto, è uno di quelli che è rimasto molto colpito dall’edizione targata Fazio e Littizzetto.

«Temevo che la formula di Rai3 non funzionasse su Rai1, e invece mi sono ricreduto. Fazio ha portato a Sanremo qualcosa delle sue trasmissioni, da Che tempo che fa ad Anima mia, ma è riuscito a fare comunque qualcosa di nuovo e piacevole».

La conduzione di quest’anno è stata molto diversa da quella degli anni scorsi. Ha funzionato?

«Con la Littizzetto sul palco è stata finalmente scardinata la liturgia classica della valletta bionda e bruna, dei vestiti sontuosi e dello spettacolo grandioso ad ogni costo. Fazio è riuscito a cogliere il cambiamento dell’umore del pubblico: gli anni passati c’erano stati grandi ospiti, ma in questa edizione sono riusciti a non farne sentire la mancanza grazie all’escamotage dell’avvicendamento di tante facce note e curiose. Hanno alleggerito lo spettacolo e hanno permesso ai due conduttori di scherzarci su».

Tante le novità di questa edizione, prima fra tutte la presentazione di due brani da parte dei big, con la scelta della canzone in gara da parte della giuria stampa e del televoto. Questo meccanismo ha favorito la qualità delle canzoni?

«La doppia canzone ha sicuramente alzato il livello della musica. Inoltre è andato incontro ai gusti del pubblico che vuole la gara e la classifica. Già la scelta tra due canzoni era una gara all’interno della gara, e ha reso meno monotona la manifestazione».

La vittoria di Marco Mengoni ha alimentato le polemiche sul rapporto tra Festival e talent-show. Cosa ne pensa? Le trasmissioni come Amici e X Factor stanno davvero conquistando Sanremo?

«Non sono contro i talent, promuovono le voci giovani e sono un buon acquisto per la musica popolare. Certo è un po’ strano vedere che il Festival è costretto a prendere in prestito i giovani cantanti da queste trasmissioni. Un tempo era Sanremo a far conoscere i nuovi talenti: sul palco dell’Ariston sono iniziate le carriere di Eros Ramazzotti, Vasco Rossi e Zucchero».

Si dice che il Festival, negli anni passati, fosse uno specchio della società italiana: è ancora così?

«Sicuramente lo spettacolo del Festival segue i gusti del pubblico, basti vedere la differenza dell’edizione di quest’anno, molto meno lussureggiante di quelle passate. Dal Festival, però, rimane esclusa una parte importante della musica italiana: tutta la cultura dell’hip-hop e del rap, infatti, non riesce ad arrivare all’Ariston, ed è una perdita importante per la manifestazione».

Nel Festival ideale di Renzo Arbore, chi sarebbe stato il vincitore?

«Tra i giovani mi è piaciuta molto Ilaria Porceddu. Tra i campioni, musicalmente avrei premiato gli Elio e le storie tese: il loro brano è una vera lezione di musica. Mi sono piaciuti molto anche Raphael Gualazzi e Peter Cincotti in coppia con Simona Molinari: quello è lo stile che piace a me, lo swing. Mi piacciono le canzoni che fanno ballare e che fanno muovere immediatamente il piedino, ma purtroppo non ce n’erano molte quest’anno».

 

Angela Tisbe Ciociola