Riccardo Garrone (a destra), insieme all'attore Paolo Ferrari

Riccardo Garrone (a destra), nella foto insieme all’attore Paolo Ferrari, ha esordito al cinema nel 1949

Ci sono figure nello spettacolo che sono complete e che in virtù della loro completezza spesso rimangono in disparte, non svettano. Riccardo Garrone, morto il 14 marzo a Milano, apparteneva all’esercito dei versatili silenziosi. Il volto simpatico, la voce riconoscibile, la mimica rassicurante: l’attore, in 67 anni di carriera, ha fatto di tutto e di più. Dal cinema al teatro, dal doppiaggio alle fiction, fino alla pubblicità. Il primo novembre avrebbe spento novanta candeline.

Se pensiamo agli anni Sessanta la memoria corre subito ai vari Gassman, Tognazzi, Manfredi, Sordi, Mastroianni. I “mattatori”, capaci di catalizzare l’attenzione e di creare una mitologia intorno alla propria arte, diventando le muse non solo dei cineasti ma anche del costume. E poi c’erano quelli come Riccardo Garrone, artisti talentuosi, bravi in ruoli molto diversi, preparati e puntuali, ricercati e valorizzati dai registi. Mai divi, sempre artigiani della pellicola. Nel caso specifico dal 1949 quando l’attore, nato a Roma nel 1926, fresco di diploma all’Accademia Nazionale d’Arte drammatica, viene notato da Mario Mattoli e debutta nel film Adamo ed Eva.

Da quel momento Garrone non si fermerà più e lavorerà con i nomi più illustri di Cinecittà. La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, Belle ma povere di Dino Risi, Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata di Luigi Zampa, La dolce vita di Federico Fellini, Fantozzi subisce ancora di Paolo Villaggio: sono solo alcuni dei film in cui viene chiamato a recitare, molti della cosiddetta commedia italiana, entrati di diritto nella storia del cinema. Eppure Garrone non rifiuta neppure esperienze meno impegnate, come La mafia mi fa un baffo e La Commessa di cui firma anche la regia. Oppure il mondo delle serie televisive, Lui e Lei con Vittoria Belvedere e Un medico in famiglia, in cui è l’altro nonno (quello più famoso è Libero, interpretato da Lino Banfi). Frequenta spesso le sale di doppiaggio: uno dei personaggi più iconici a cui presta la voce è l’orsacchiotto Lotso nel cartone animato Toy Story 3. La grande fuga.

Il teatro è il secondo grande amore dell’attore romano, a cui si dedicherà sin dagli anni Cinquanta, prima con la compagnia Gassman- Torrieri- Zareschi, poi con quella Morelli- Stoppa e infine insieme ad Antonella Steni. Tra i tanti caratteri e le tante opere messe in scena è ricordato per essere stato la voce di Dio nello spettacolo Aggiungi un posto a tavola. E sarà un altro ruolo “religioso” a renderlo familiare al pubblico nello spot di una famosa marca di caffè: è il simpatico San Pietro che accoglie alle porte del Paradiso, nell’ordine, gli sprovveduti Tullio Solenghi e Enrico Brignano. Proprio Brignano, che con Garrone aveva avuto modo di condividere anche il set di Un medico in famiglia, gli ha rivolto un pensiero su Facebook: “Ironico e serafico, schietto ed elegante, gran professionista rispettoso e rispettato. Riusciva sempre a spiazzarti, a farti ridere e a rendere presente un tempo andato”.

Nell’immaginario comune, specialmente tra i più giovani, la sua figura forse è associata soprattutto all’apostolo canuto e brillante del caffè e a una battuta di Vacanze di Natale divenuta ormai epica, senza dubbio catartica per ciascuno di noi.

Marta Latini