Legami, intimità, relazioni, nuovi mondi nelle infinite declinazioni dell’esperienza umana sono le tematiche che animano la quattordicesima edizione del Festival di fotografia europea di Reggio Emilia, 25 mostre aperte al pubblico fino al 9 giugno. «I legami e le relazioni sono un tema estremamente attuale. E’ un argomento che sembra banale e scontato ma non lo è in questo specifico momento storico» ha detto Walter Guadagnini, direttore artistico del Festival e curatore della mostra dedicata al fotografo tedesco di moda Horst P. Horst.

Mainbocher Corset

Rottura dietro all’obiettivo – Per Guadagnigni il fotografo simbolo della rivista Vogue è un personaggio complesso. Mainbocher Corset è l’ultima foto che Horst P. Horst scattò a Parigi nel 1939 per la rivista di moda, prima di lasciare l’Europa dal porto di Le Havre. L’esercito nazista avrebbe invaso Parigi, terra di libertà e casa di artisti rifugiati da tutta Europa, il 14 giugno del 1940. «Parigi era casa mia. Avevo già lasciato la Germania, e di nuovo vivevo la stessa perdita. Questa fotografia è particolare. Mentre stavo scattando, pensavo a tutto ciò che stavo lasciando indietro», disse il fotografo ricordando il trauma della partenza. Una rottura, urgente e inevitabile, che ha trasformato per sempre la vita del fotografo tedesco celebre anche per i suoi scatti di nudi maschili e per la rappresentazione delle simmetrie greche vicine al surrealismo.

Detention center of Zaouia, Libya (2014)

La perdita della partenza – Dalla Parigi occupata ai giorni nostri, il tema della rottura legato alle migrazioni è sempre attuale. «Non a caso una delle mostre che aprono il festival ai Chiostri di San Pietro, è la mostra di Samuel Gratacap dedicata alle migrazioni» – aggiunge il direttore Guadagnini – «perché il rapporto tra noi e gli altri nella dimensione sociale e pubblica è uno dei grandi temi della contemporaneità». Le foto di Gratacap, francese diplomato alla scuola delle Belle Arti di Marsiglia, documentano le due facce della Libia contemporanea: la guerra civile si confonde con il dramma dei migranti provenienti dall’Africa sub Sahariana intrappolati nelle prigioni libiche.

Michele Nastasi, Plant Souk, Riyadh, Riyadh, Arabia Saudita, 2017. Courtesy l’artista

Trasformazioni e transitorietà – Le foto di Arabian transfer di Michele Nastasi, fotografo milanese classe 1980, segnano il passaggio dalla dimensione politica delle relazioni a uno sguardo sociologico, più distaccato, del medium fotografico. Le città permettono di tracciare una geografia delle relazioni che molto spesso sfugge alla visione personale e intima. Lo sguardo del fotografo si concentra sulla transitorietà delle relazioni in sei città della penisola arabica. Tra grattacieli futuristici, centri commerciali e fast-food città come Ryadh, Manama e Kuwait City mescolano alla dimensione culturale e storica delle città, una nuova identità occidentale che stride con i colori caldi e l’ambiente desertico e tropicale.  La cornice di Palazzo da Mosto ospita anche una retrospettiva sul lavoro del fotografo americano Larry Fink, presente al festival sabato 13 aprile.