Non è bastato il dietrofront di Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università Biccoca. Lo scrittore Paolo Nori non ha digerito l’email con cui l’ateneo lo informava che il suo ciclo di lezioni su Dostoevskij sarebbe stato annullato: «Li libero dall’impegno che hanno preso e il corso che avrei dovuto fare in Bicocca lo farò altrove». Eppure, si trattava «solo di un malinteso». Per la rettrice, la comunicazione inviata al traduttore e professore della Iulm è stato frutto di un errore. Né più né meno. Una precauzione presa «per evitare qualsiasi forma di polemica interna in questo momento di forte tensione». Il convitato di pietra è ovviamente la guerra in Ucraina. «Sono senza parole», la risposta secca e sbigottita di Nori, rimasto afono dopo aver aperto il computer. La perdita della voce non ha colpito solo il diretto interessato, ma tutto il mondo della cultura. «Cancel culture», «russofobia», «istinto sanzionatorio»: sono tante le definizioni utilizzate dalla rete dopo lo shock iniziale. Persino la ministra dell’Università, Cristina Messa (ex rettrice della Bicocca), ha dato voce alla propria indignazione, ricordando che Dostoevskij «è patrimonio dal valore inestimabile e la cultura resta libero terreno di scambio e arricchimento». Mercoledì Maurizio Casiraghi, prorettore alla didattica, ha spiegato le ragioni di una scelta fraintendibile: «Abbiamo deciso con la rettrice di rimandare il programma di un mese per avere il tempo di ristrutturarlo e ampliarlo per coinvolgere più studenti – ha detto – Ampliarlo come? L’idea era proporre anche autori ucraini, è una delle proposte arrivata dai docenti».

Delitto e perdono – Sbarazzarsi del senso di colpa minimizzando la gravità del fatto. È quello che fece Raskol’nikov, giovane studente russo, protagonista di Delitto e Castigo, quando affermava di aver ucciso «solo un inutile, ripugnante, nocivo pidocchio». La vittima in questione era Alëna Ivànovna, gretta e anziana usuraia, la cui scomparsa, secondo il 23enne pietroburghese, avrebbe giovato al mondo intero. Che un imberbe nichilista, spinto da mitomania napoleonica, faccia questo ragionamento, può anche passare. I problemi sorgono nel momento in cui un provvedimento censorio ai danni Dostoevskij viene derubricato a equivoco. La sua, si sa, è una colpa strana: essere russo – morto, oltretutto – proprio mentre la Madre Patria è governata da un dittatore che da una settimana sta bombardando l’Ucraina. Il castigo per l’affronto a uno dei pilastri della letteratura russa tarderà ad arrivare. Assisteremo, semmai, al perdono chiesto dal peccatore. «Nessuna censura, il corso si terrà come previsto. Ho invitato Nori per un caffè in rettorato e lui ha accettato. C’è stato un malinteso in un momento di grande tensione. Dall’idea di questa università non c’è niente di più lontano della censura». Nel giro di 24 ore, Iannantuoni ha riabilitato quello che per Nietzsche fu l’unico psicologo da cui aveva imparato qualcosa.

Umiliato, offeso e desiderato – «Non condivido questa idea che se parli di un autore russo devi parlare anche di un autore ucraino, ma ognuno ha le proprie idee. Se la pensano così, fanno bene. Io purtroppo non conosco autori ucraini». Nori, finalista la Premio Campiello 2021 con Sanguina Ancora, non condivide l’ottica buonista del prorettore Casiraghi. Forse perché restio ad associare il governo russo con il popolo a lui sottoposto. O, più probabilmente, perché recalcitrante ad accettare un’ipocrita idea di par condicio, per cui Dostoevskij e Tolstoj debbano essere accompagnati da Sergej Zhadan, Yuri Andrukhovych o Taras Prohasko, per citare i contemporanei. Vada come vada, Nori è già stato invitato da altri atenei a tenere le stesse lezioni. Da Pavia a Siena. E alla Iulm, dove insegna Traduzione editoriale della saggistica russa, i suoi studenti scrivono: «Condividiamo lo sconcerto per la scelta di Bicocca. Dostoevskij, pilastro della letteratura mondiale, non può essere improvvisamente accantonato soltanto perché russo».