Euro ai minimi da 20 mesi, peggio che dopo Brexit. Discesa fino a 1.05 sul dollaro. L’annuncio delle dimissioni di Matteo Renzi fa crollare la valutazione della moneta unica sui mercati. E i future sull’apertura delle borse segnano un un ribasso per la borsa di Milano del 4,1%.

Ricapitalizzazione di Monte dei Paschi di Siena, con la conversione dei bond in azioni completata venerdì 2 dicembre. Aumento di capitale della più grande banca italiana, Unicredit. Fusione tra Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Bocciatura da parte del consiglio di Stato della riforma delle banche popolari. Il tutto con lo spread che nelle ultime settimane è risalito fino a quota 190, ai massimi dalla primavera 2014. È questo il contesto in cui si inseriva il referendum costituzionale del 4 dicembre, dal cui esito dipende molto del futuro del settore finanziario e bancario italiano. Anche perché il voto referendario era stato trasformato da consultazione sulle modifiche alla Costituzione a giudizio politico sul governo e su chi lo presiede, Matteo Renzi.

CAPITOLO SPREAD. Nelle ultime settimane il differenziale tra i Buoni del Tesoro italiani e i Bund tedeschi era tornato a salire, ma senza mai raggiungere la soglia dei 200 punti. Questo grazie all’ombrello della Banca Centrale Europea, che può comprare i titoli italiani sul mercato secondario e, così facendo, evita che i tassi schizzino al rialzo. Nonostante la vittoria del No, la protezione garantita da Mario Draghi eviterebbe, almeno nell’immediato, un rialzo dello spread simile a quello del 2011, fatale a Silvio Berlusconi.

BANCHE SOTTO PRESSIONE. La sconfitta di Renzi, però, e la caduta del suo governo mettono a rischio la tenuta del settore bancario italiano. Gli istituti di credito vivono una fase complicata. Il calendario ha fatto coincidere il referendum con alcune operazioni in corso. Tra tutte l’aumento di capitale di Mps, finalizzato alla messa in sicurezza degli oltre 20 miliardi di sofferenze bancarie, prestiti inesigibili, che sono nella pancia della banca senese. Tutta l’operazione, già molto complicata di per sé, è adesso ancora più in bilico, visto il risultato referendario destabilizzante. Perché con un governo dimissionario, e chissà se elezioni all’orizzonte, c’è una conseguente minore fiducia nell’intero sistema bancario nazionale. Gli investitori e i mercati non amano la discontinuità e con un eventuale fallimento della ricapitalizzazione di Mps si aprirebbe per le banche italiane una fase di crisi acuta.