Centocinquanta milioni di euro. Questa è la cifra che avrebbe evaso sull’Iva il colosso delle prenotazioni online Booking.com, secondo la Guardia di finanza di Genova e Chiavari. La società, di diritto olandese, avrebbe guadagnato in Italia più di 700 milioni di euro su 800mila transazioni, tra il 2013 e il 2019. I militari hanno cominciato a indagare sul popolare sito già nel 2018, al termine di una serie di accertamenti fiscali su alcuni gestori di Bed&Breakfast della zona del Levante ligure. L’esame dei documenti fiscali avrebbe rilevato come Booking.com fosse solita emettere fatture senza Iva applicando il meccanismo della cosiddetta “inversione contabile” (in base a cui il cliente, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, è tenuto a pagare l’imposta al posto del fornitore): secondo i finanzieri liguri «questo avveniva anche nei casi in cui la struttura ricettiva era priva di partita Iva, dal che l’imposta non veniva né dichiarata né versata in Italia».

L’indagine – L’esame dei documenti fiscali, coordinato dal colonnello Ivan Bixio e dal capitano Michele Iuorio, ha ricostruito il patrimonio evaso comparando le banche dati con i bilanci messi a disposizione dalla multinazionale, relativi alle commissioni applicate a 896mila prenotazioni in Italia: un giro d’affari da oltre 700mila euro, sul quale la società olandese avrebbe dovuto versare all’erario italiano oltre 153milioni di euro. Invece Booking non ha mai nominato un proprio rappresentante fiscale in Italia (come disciplinato dal Dpr 633/72, il “testo unico Iva”), né si è mai identificata nel nostro Paese, non presentando mai la relativa dichiarazione fiscale: il risultato è stato «la totale evasione dell’Iva, che non veniva pagata né in Olanda né in Italia».

I precedenti – Quello di Booking non è un caso isolato: Il conto delle tasse in Italia per i giganti del web e della sharing economy resta basso. Almeno questo è quello che emerge dai bilanci 2020, depositati nel registro delle imprese di Infocamere: se si prendono in considerazione le costole italiane (tutte Srl, società a responsabilità limitata) di nomi del calibro di Amazon, Google, Twitter, Airbnb e Tripadvisor il conto complessivo delle tasse versate l’anno scorso nel nostro Paese non supera i 70 milioni di euro, a fronte di ricavi di oltre 3 miliardi. Il principale contribuente italiano delle cosiddette web soft risulta essere Microsoft con 16 milioni di euro, seguita da Sap (10,5 milioni) e Google (5,7 milioni). Appena 2,3 milioni le tasse pagate da Facebook. Per E-bay si scende a 145 mila euro. Ha dell’incredibile il dato di Netflix: 6 mila euro, meno di un operaio. Le concorrenti cinesi, molto meno presenti in Italia ma con fatturati importanti e in crescita (ad esempio Alibaba), dimostrano di avere colto dalle rivali statunitensi o europee il segreto del successo: quasi tutti i gruppi del Dragone, infatti, presentano la sede fiscale alle Isole Cayman. La voglia di vivere (e guadagnare) a un’altra velocità: ma nella canzone di Alice e Battiato, i treni si fermavano solo a Tozeur.